Con l’occhio del giudizio l’ultimo film di Jonathan Demme è troppo lungo. Con l’occhio dell’amore è troppo breve. Nei fatti, Ricki and the Flash dura quello che dura e somiglia molto alla vita: ci sono secondi interminabili e anni che volano.
Non è Il Silenzio degli Innocenti. Questo è un tempo narrativo molto lontano da allora. Là c’era la voglia di far emergere il profondo attraverso le azioni, i fatti, gli eventi che muovevano il plot. Qui c’è voglia di so-stare. Di stare con i personaggi. Di rimanere ancora un po’, poi altri cinque minuti, poi altri cinque…. con la sottile angoscia del bambino che non vuole che sia spenta la luce, o con la consapevolezza di un adulto che sa che il tempo è alla fine.
Quindi la camera sosta. In formato panoramico e quasi sempre in interno. E questo rende le umanità dei personaggi davvero enormi. Hanno uno spirito dentro e attorno a sé. Naturalmente questo non basta. Perché questa apparente semplicità di shooting abbia senso ci vuole altro. Demme lascia spazio intorno ai personaggi perché sa di avere a disposizione degli squali. Perciò prima di buttarci a fare come lui ricordiamoci che noi facciamo cinema italiano. Abbiamo sceneggiature italiane, registi italiani e attori e attrici… scelti all’italiana. Cerchiamo almeno di farli brevi.
Di cosa parla Ricki and the Flash? Parla della lotta per non lasciarci. Della disperata volontà di restare qui, di restare insieme, di sopravvivere al tempo che ci strappa a volte di colpo e senza ragione gli uni dagli altri, a volte in un interminabile latrato silenzioso fatto di giorno per giorno per anni. Parla delle unghie che piantiamo nella carne dell’altro per trattenerlo, del cuscino dei giorni che si spiuma nelle nostre mani.
Cantare serve a incantare. Incantare il tempo e noi stessi, svegliarci e renderci presenti. Essere qui. Se non possiamo fermare il tempo possiamo tenere il ritmo. Ma quello di cui avremmo davvero bisogno è uscire dal tempo, da ogni confine, da ogni ruolo, da ogni partito preso, da ogni ricchezza. I personaggi di questo film respirano morbida aria condizionata ma anelano a una boccata d’amore incondizionato.
Demme scuce e ricuce continuamente le loro traiettorie. Da una parte c’è la storia che ci divide. La storia di ognuno di noi che è vista sempre da noi. Il passato, le responsabilità, i malintesi, le scelte. A volte le ragioni non dette delle scelte. A volte le ragioni fraintese. Ma sulla musica, cioè sul nostro bisogno di amore, siamo tutti d’accordo e chi tocca questo tema con sarcasmo ne ha più bisogno degli altri. Quindi dopo un round c’è una canzone e questo è il moto perpetuo del film. Le canzoni non hanno tempo perché la musica è musica, mentre Ricki sì, è vecchia e lo dice.
Da brava commedia che si rispetti, sembra andare a finire bene. In realtà come sempre Jonathan Demme è più sottile di così. Va semplicemente a finire che tutti si uniscono all’ultima canzone. Ma le differenze restano differenze. Le solitudini solitudini. Il dolore dolore. La vita che è andata rimane la vita che è andata.
Ricki and the Flash è un film contemporaneo e antichissimo. E’ la mamma che ci racconta, la nostra voglia di carezze, la paura del buio che viene, la vita presa per il rotto della cuffia, il segno profondo del giudizio che sentiamo su di noi eppure il bisogno che abbiamo della presenza di chi l’ha espresso. E viceversa, ovviamente.
Questo film è un fiume di gratitudine e di intelligenza che rischia di apparire niente di che proprio per la sua capacità di essere semplicissimo. Meryl Streep è gigantesca come al solito e mentre canta agisce il tema profondo del film: lotta per rimanere ancora un po’. Come una specie di Sherazade, l’età non c’entra: mentre fai musica, hai tutta la vita davanti.
Con l’occhio del giudizio l’ultimo film di Jonathan Demme è troppo lungo. Con l’occhio dell’amore è troppo breve. Nei fatti, Ricki and the Flash dura quello che dura e somiglia molto alla vita: ci sono secondi interminabili e anni che volano.
Con l’occhio del giudizio questo commento di Giovanni è troppo lungo. Con l’occhio dell’amore è troppo breve. Ci sono pensieri su cui riflettere per ore e ci sono parole che ti danno un piacere fisico, prima ancora che intellettuale, immediato.
Il risultato è che vorrei tornare subito a vedere il film. Ma intanto torno subito a rileggere le parole di Giovanni perchè sono parole di gratitudine e di intelligenza e di grande amore non solo per il film, ma per ognuno di noi che ha la fortuna di leggerle.
Prova provata di quanto io sia rimbambito è che adesso, ore 9.39 di sabato 14 Maggio 2016, dopo aver letto la recensione di Giovanni, mi sono detto : “Che bello ! Voglio subito scrivere qualcosa per ringraziarlo.” E poi appena posso voglio rivedere il film, rileggendomi prima le “istruzioni per l’uso” di queste bellissime e profonde righe di Giovanni, che non si limita mai a parlare di ‘quel’ film, ma ci parla della vita e di noi.
Per fortuna scopro che c’è già un commento : lo leggo e scopro che l’ho scritto io !
Vabbè, avevo anche selezionato una frase che trovo perfetta.
Mi limito a ricopiarla qui sotto e torno ai miei balocchi.
” …. Perché questa apparente semplicità di shooting abbia senso ci vuole altro. Demme lascia spazio intorno ai personaggi perché sa di avere a disposizione degli squali. Perciò prima di buttarci a fare come lui ricordiamoci che noi facciamo cinema italiano. Abbiamo sceneggiature italiane, registi italiani e attori e attrici… scelti all’italiana. Cerchiamo almeno di farli brevi”.