Condivido qualche appunto sul primo film di Paul Dano, con l’intento di farne poi una versione più ampia in video. E’ uno dei film principali del mio nuovo workshop, un film che ho molto amato.
Con la solita premessa che di semplice punto di vista si tratta, che i film non sono fatti per essere “capiti” nel loro messaggio ma per essere attraversati nell’esperienza e che quindi ogni analisi onesta può solo rappresentare se stessa. L’analisi filmica per me è solo il diario di viaggio di uno che si avventura in un film.
Premesso questo, partiamo.
Wildlife apre in sezione aurea. L’albero sul terzo di destra dell’inquadratura e la “conchiglia” a girare formata dalle fronde, la casa nel grembo e padre e figlio nel grembo della casa. Una meravigliosa ostrica che sa di infanzia, di orgine, di culla. Il padre lancia la palla al figlio e inizia con lui un’amorevole sfida. La luce del tardo pomeriggio, l’auto che intravediamo parcheggiata davanti alla villetta di fronte. Tutto è nella pace.
Siamo ancora nella prima inquadratura, ma i due sono finiti a destra macchina, nello spiraglio oltre l’albero. Chi era centrale si è decentrato, chi era vicino si è allontanato. Albero e casa rimangono immobili nella fissità della mdp. Comincia a delinearsi, dopo pochi secondi, uno degli elementi portanti del film: il rumore di tutto ciò che passa e il silenzio di ciò che rimane.
Siamo ancora nella prima inquadratura e la mdp è sempre fissa. I due sono corsi dietro la casa proseguendo la loro sfida. Rimaniamo in attesa, contempliamo solo albero e casa. Natura e Cultura. Passano gli uomini ma albero e casa rimangono. Natura e Cultura di tutti e di sempre. Della nostra partita non resterà nulla. Delle nostre risate, delle nostre serate. Sparirà tutto rotolando prima ai margini e poi nel passato. Questo mondo che rimane impassibile anche oltre il nostro sparire, che osserva il nostro trascorrere, che non ha mai creduto che saremmo durati più di tanto, è un richiamo alla nostra coscienza silenziosa e profonda. A quella parte inascoltata di noi che queste cose le sa perfettamente. E’ sera del resto, adesso questa luce inclinata sembra trovare un suo senso.
Ma qui, all’improvviso, comincia il film. La mdp è ancora ferma e i due rientrano da destra, di ritorno dalla loro corsa. Perché vale la pena seguire questa storia? Perché è la storia di un padre che vuole vincere anche con suo figlio. E’ il primo segno di inversione rispetto a tutto quello che di consolidato abbiamo visto. Albero Casa Padri e Figli. Ma qui il padre annienta il figlio. E’ la provocazione di partenza da cui la narrazione prende l’avvio.
Siamo in cucina. L’altro luogo centrale della vita, dove si mangia e si parla. Tutta la scena è sui toni dell’ocra e del marrone. Svettano a sinistra la maglietta turchese di Jerry e in basso a destra – purtroppo non visibile in questa immagine compressa ma molto evidente nel film – il ventilatore. Maglietta e ventilatore si chiamano cromaticamente e racchiudono tutta la scena. Una delizia per gli occhi, che sentono il bisogno di aria di Jerry rispetto a moglie e figlio. Va spazzato via tutto ciò che sta fra lui e il ventilatore. Tutta la sua vita attuale.
Eppure sono appena arrivati in questa casa. Jerry non sa nemmeno dove siano i coltelli. Alla seconda inquadratura ci è già chiarissima la sua inquietudine profonda. Vince con il figlio, sta al margine dell’inquadratura ed è connesso al ventilatore.
Siamo in soggiorno. Jerry ascolta la partita alla radio con una birra in mano e un’altra sul tavolino. Jeannette aiuta Joe con i compiti. Sono due colonne. A sinistra madre, figlio e compiti, a destra Jerry, birra e maglietta turchese. Jerry è fuori fuoco. Insomma, spazio colore e presenza diversi. L’elemento sottile di questa inquadratura è la seconda bottiglia di birra, quella sul tavolino. Perché oltre a dividere i due settori, ci racconta il progetto di Jerry per la serata. Ha intenzione di restare lì a lungo.
Questa diversità di spazi è anche una divergenza di sentire. Jeannette è attiva, fa di tutto per aiutare un figlio che – nelle sfumature qui non analizzabili ma molto chiare nel flusso – non ha nemmeno bisogno di essere aiutato. E’ la parte di noi che si sbatte, che fa un sacco di cose per realizzare o per mantenere la vita che vogliamo. Indipendentemente dal bisogno che c’è di quel fare.
Jerry è altrove. L’abbiamo visto giocare e vincere, poi fremere a tavola e adesso bere birra e ascoltare la partita. Si profila come libro fuori scaffale, come adolescente in un corpo adulto, come padre mancato, come secondo figlio di Jeannette.
Jeannette è andata in cucina a sparecchiare. Joe lavora ai compiti, Jerry beve. Jeannette gli chiede di aiutarla. Cominciamo a osservare il giovane Joe. Mentre studia lancia un’occhiata alla madre. E’ un acting molto preciso: non ci dice ascolto, ci dice allarme. Il sentire di Joe è su un livello molto più alto e profondo, lui sa che la madre ha bisogno. Sente la sua fatica, il suo darsi da fare. Jerry invece è davvero fuori fuoco e ha bisogno di essere chiamato per rendersi utile. Non sente il sentire di Jeannette. Qui cominciamo a cogliere chi agisce come uomo di casa e chi come adolescente.
Dano sta muovendo pochissimo i volumi e mai la camera per ora. Si muovono gli attori. Uno shooting terribilmente economico per il quale non è necessario avere un alto budget ma un alto pensiero.
E certo. Jerry ci va. Lascia la bottiglia sul tavolo della cucina e si mette a giocare con Jeannette. E’ simpatico. E’ bello. Si capisce perché Jeannette si possa essere innamorata di lui. Non è un mostro violento. Si sa comportare. Ma in questo spazio è sempre più incastrato da cose più grandi di lui. E confonde una precisa richiesta di aiuto di Jeannette con qualche momento piacevole passato con lei. Non ha bisogno di giocare, ha bisogno di essere aiutata. Ma siamo proprio all’inizio e gli equilibri reggono ancora. Ora Jerry è piacevole, ma è già una macchia turchese isolata – sezionato dal muretto, dal frigo. Nel frattempo la radio continua a raccontare la partita.
E Joe sorride. La matita tenuta in quel modo ci dice che per un momento smette di studiare e li guarda. Sorride ma i suoi occhi guardano lontano. Oltre la mamma e il papà. Joe controlla la situazione. Teme la frattura, la frana. Non c’è bisogno che la gente si picchi per cogliere il pericolo. E questo film ruota attorno alla prevenzione degli incendi.
Ricapitoliamo. Che cosa ha fissato Paul Dano in questi 100 secondi di film?
Ha rifatto la prima scena. Allo stesso modo in cui la casa e l’albero rimanevano fissi in silenzio anche dopo il passaggio di Jerry e di Joe, Joe resta fermo anche dopo l’uscita di campo di padre e di madre. La mdp inchiodata rende questa indicazione chiarissima.
Joe è l’albero di questa casa e di questa famiglia. E’ la radice. E’ il sentire più antico ed evoluto. E’ quel che rimane uguale mentre tutto cambia. E’ il senso sempre presente nel tutto che sembra trascorrere. E’ l’amore silenzioso che compatisce lo sbattersi degli uomini e delle donne nel mare dei desideri e delle angosce.
Un’anatomia familiare perfetta, con pochissime inquadrature e tutte fisse.
E’ il magnifico inizio di un film acuto e potente.