Si affaccia, Narciso. Si sporge sul bordo di un lago per osservare da vicino il suo riflesso. A scuola ho sempre sentito la sua storia già giudicata: per troppo amore di se stesso, per vanità, per narcisismo – geni! Molti capelli fa non mi ponevo domande sui possibili moventi di questo osservare senza tregua, compulsivo e ostinato.
Oggi mi dico che osservare in quel modo può far rima con sorvegliare. Il nostro riflesso siamo noi ora, e osservare questo riflesso è come controllare che questo ora non passi, che il presente sia presente. E il presente è sempre presente ma non è mai quello di prima. E non è mai fatto di solo presente. Quindi mi pare che quella che viene spesso definita sterilmente vanità sia in realtà una paura disperata della morte.
Eccoci connessi al lunghissimo e illusorio pianosequenza di Birdman che ci scaraventa in un fiume ininterrotto di presente. La vita controllata ogni secondo perché ci sia. E la conferma del nostro esistere interamente consegnata allo sguardo degli altri.
Si affaccia, Narciso. Si sporge sul bordo del palco e si specchia negli occhi del pubblico, che gli dice che c’è, che è ancora vivo e che è ancora se stesso. Ma questo certificato di esistenza in vita non basta mai perché quando vivi senza passato e futuro ogni presente è tutta la vita. Ogni attimo è sempre. Quindi il consenso e il certificato si rinnovano e scadono nello stesso momento.
I conti si fanno difficili per Birdman, quando nel presente che fluisce si innestano i drammi della memoria: quello che siamo stati e che non siamo più. Quello che abbiamo commesso e che ancora ci perseguita. Quello che non abbiamo mai fatto e che avremmo dovuto o voluto fare. Tutte le ipotesi di noi che sono migliori di noi. Tutte le storie di noi che non sono noi e che non sono qui. E’ un mare di vita ipotetica dal quale emerge una domanda lancinante: quella sulla nostra autenticità. Chi siamo in realtà. Chi siamo veramente. Narciso è ancora così patologico e malato nel guardare se stesso riflesso? E’ davvero solo vanità? Chi osserva con così tanta devozione e assiduità forse sta semplicemente cercando. E se noi siamo per metà nel mondo e per metà nel profondo, sta cercando il senso di buona parte della vita.
Questa ricerca di sé, affannosa, dolorosa, lacerante, dura tutta l’esistenza. I primi sei giorni della Creazione. L’ultimo giorno, Dio si riposa. E il riposo è il fine di tutto quanto creato. Goderselo. Amarlo. Viverlo in pace.
Ma creare è un momento di fertilità estrema che proviene ed è connesso alla morte di quel che c’era prima. E’ possibile solo a condizione di rischiare tutto e per questo Narciso si sporge e si lancia anche dal bordo di un palazzo. Ma non solo.
Si sporge anche sul bordo di uno specchio. Si toglie le bende che lo identificano come malato. Chi si toglie le bende è guarito. Può respirare, tornare a vivere. Le bende sul volto sono tutte le paure che ci impediscono di guardarlo. Narciso scopre se stesso nel suo punto dolente. E solo così poteva andare: nel riflesso di uno specchio che gli conferma che il suo dolore esiste. Che c’è. Che è ancora vivo e ancora qui.
Solo qualche passo, e Narciso si sporge sul bordo di una finestra. Spicca il volo che lo porterà a se stesso, Birdman si riunisce al suo archetipo nell’ultimo volo. Ma il miracolo non è quello: il miracolo è negli occhi della figlia. Entra e non lo trova nella sua camera, come le donne che vanno al sepolcro non trovano Cristo e gli viene detto: perché lo cercate tra i morti? Perché cercare Birdman tra i malati? Birdman è finalmente se stesso. E allora la figlia – che è tutti noi – attraversa questa stanza e si sporge. Non così tanto come suo padre ma comunque si sporge, inizia a capire e a rifare i movimenti del padre: il rischio che cercare la verità su se stessi comporta sempre. Si sporge e guarda in giù. guarda dove i suoi occhi sono abituati a cercare: l’asfalto, il corpo spiaccicato, sono le cose che si aspetta nel suo mondo logico. Questa è la vita.
Poi lentamente alza lo sguardo e sorride guardando qualcosa nel cielo. Inarritu non ci dice che cosa abbia visto per terra, né cosa abbia visto in cielo. Ma ci dice che sorride, illuminata e radiosa. Ci dice che il suo sguardo subisce un cambiamento profondo. Ora crede. Crede nel settimo giorno del padre, quello del riposo in cui la creazione di noi stessi è compiuta e il presente è davvero presente. Volo puro. Luce pura. Il miracolo non avviene su Birdman, non consiste nel suo volare. Il miracolo è nei nostri occhi che smettono di cercare per terra e si levano sorpresi, folgorati a baciare il cielo. Che naturalmente è lì apposta, a specchiarsi in noi.
“Birdman” : bellissimo.
Anche se non sarei mai arrivato alla tua profondità di lettura,
sia a Giovanna che a me ha entusiasmato.
Mi dicevo : io non sarei stato capace non dico di girare,
ma nemmeno di immaginare o di scrivere una sola sequenza del film :
dall’inizio alla fine è stata una continua sorpresa.
Grazie per averci spinto !
F
leggerti è rammaricarsi di averti perso di vista.
Congratulazioni. Concordo su tutto.
Grazie per questa analisi così profonda, toccante e fluida. Per me rappresenta una vera e propria rivelazione ed allo stesso tempo mi chiedo: ma io, che film ho guardato?