Devo questo titolo all’amico e grande attore Tommaso Ragno, che cito e ringrazio per la meravigliosa intuizione.

Dunque, pare che ci siamo. Cade questo Governo e si apre una prospettiva destrissima, mai tanto vicina alla dittatura da quando la dittatura c’era davvero.

Quasi tutto il mio ambiente è preoccupato perché quasi tutto il mio ambiente si dice di sinistra. Non faccio eccezione, quindi eccomi qua preoccupato come gli altri.

Nel nostro specifico ambiente – cinema e teatro – sento molto sarcasmo verso l’ignoranza del Popolo dei 5 Stelle e dei discepoli del Capitano. Sottoscrivo, alcune sono perle indimenticabili. Bene, ci abbiamo riso e anche adesso che erano al Governo non abbiamo smesso per un secondo di sentirci superiori. In media, culturalmente, è davvero così. Si tratta di una media, nessuno si offenda.

Ho letto con attenzione e prolungatamente i commenti dei tifosi di Salvini e Di Maio nelle più diverse occasioni di forum. Commenti Youtube, Facebook, in calce agli articoli sulle diverse testate on line. Perché mi ero reso conto che il mio sguardo era di commiserazione e di giudizio. D’altro canto che vuoi: congiuntivi sconosciuti, machismo come se piovesse (ma come fa una donna a votare Lega? Boh), insulto libero e sgrammaticato, ortografia creativa. Di tutto. Prima gli italiani ma senza l’italiano.
E la ferocia. La ferocia senza pari contro chi sta dall’altra parte, di qualunque parte si tratti.

Nel nostro ambiente si commentano molto l’incapacità degli italiani di affrontare discorsi complessi e il loro rifiuto della sfaccettatura. E così si rinforza anche il nostro senso di superiorità intellettuale. Ma comunque è vero: meglio una falsità comprensibile che una verità incomprensibile. La stampa lo sa.

In pratica Salvini aizza l’odio del popolo bue e noi come facciamo a dirozzare la gente in modo che capisca?

Forse è vero che Salvini aizza la gente, forse però non è solo questo. La sua azione determinante è stata quella di accoglierla. Ha sentito la sua paura, non l’ha giudicata, l’ha fatta sua e si è fatto braccio armato di quella paura. Ha ascoltato come stava la gente. In modo strategico, finalizzato e demagogico quanto si vuole, ma è quello che ha saputo fare. Ha usato le parole del popolo. Le tinte unite, le forme nette e chiare, le frasi brevi. L’indicativo compulsivo.

E la gente si è sentita accolta. Finalmente. Ora piangiamo, perché sentiamo che la gente non ha a disposizione una complessità di pensiero per rendersi conto dell’inganno.

Ma quando la gente – che noi chiamiamo pubblico – usciva di casa per andare al cinema, cosa trovava a livello italiano? O film per deficienti in vacanza a Natale, o film incomprensibili, astratti e inutilmente complicati. Non che non si producesse altro, ma quel pochissimo altro – talvolta meraviglioso – non è quasi mai arrivato alle sale e non è mai stato sostenuto davvero.

E in teatro? Ne so di meno, ma sono incappato in cose disarmanti anche ad altissimo livello. Come costi e come contenuti. Davvero pensiamo che sia per la gente normale un biglietto tipo da 35 euro per andare a vedere (invento ma non tanto) un Goldoni di 4 ore che riesce a essere complicato e noioso? Va benissimo eh, ogni passione ha diritto di cittadinanza, ma questa cosa è per il popolo?

Allora mi sento di dire che i porti li abbiamo chiusi prima noi. I porti della cultura, della mente, la possibilità per una persona che non ha potuto studiare di appassionarsi a Pirandello, a Kafka, di seguire una storia che lo introduca alla complessità dei rapporti umani attraverso un linguaggio per lui arrivabile. Questo lo abbiamo chiuso noi.

Sto generalizzando, lo ripeto alla nausea. Parliamo di clima generale.

Sul teatro e sul cinema italiani “impegnati” vorrei dire una cosa che sento molto. La prima volta che si parla di “avanguardie” nella Storia, avviene con Cicerone a proposito di Giulio Cesare. Ne parla come di uomini mandati in avanscoperta. Per vedere se la spedizione avrebbe potuto avere successo.

Le avanguardie spesso pagavano con la vita.
Non avevano nessun interesse al successo personale, non venivano promosse a chissà quali ranghi superiori.
Osservavano la realtà e avevano dietro di sé un popolo cui riferirla.
Oggi la parola avanguardia viene spesso usata per il teatro e per il cinema impegnati o, come si dice, di ricerca.
Vorrei capire meglio con quale pertinenza di merito.

Adesso il Capitano ha raccolto la gente che abbiamo lasciato in mare. Quelli che non abbiamo aiutato a vedere il futuro con storie semplici e comprensibili. Abbiamo scelto il cotè culturale o quello del successo facile. Nessuno dei due riguardava la gente.
Ma la gente, adesso, vota.
Di colpo ci  accorgiamo che c’è e che si sta presentando alla porta con la clava.

Credo che nella vita non sia mai tardi, anche se a questo giro pagheremo salatissimo – spero di sbagliarmi, lo spero tanto.
O facciamo uno scatto, o ci prendiamo carico di questo ruolo che gli artisti e i narratori hanno, di sviluppare la coscienza profonda della società, oppure preferirei non vedere più i sarcasmi da gente di sinistra superiore e sofisticata. Preferirei un silenzio siderale, almeno mi darebbe un senso di serietà.

Riapriamo innanzitutto i porti che abbiamo chiuso noi. Ascoltiamo la gente. Non la deridiamo. Non dormiamo finché non siamo certi di aver fatto di tutto perché la nostra storia sia comprensibile. Che senso ha fare quelli di sinistra e sbavare per andare a Venezia sul red carpet? Che senso ha dirsi teatro sociale a quelle cifre d’ingresso e con linguaggi di scena così inarrivabili?

In definitiva credo che dobbiamo lavorare per rompere questo assioma: che il linguaggio semplice possa essere usato solo per le sghignazzate e le banalità, mentre quello complesso serva per le cose alte. La semplicità è l’unica strada percorribile per molti. E può arrivare a vette altissime, non solo essere usata come fa il Capitano.

Detto questo, ritengo il linguaggio sofisticato e complesso un patrimonio conquistato dall’Umanità e pertanto lo ritengo sacro. Per chiarire: non sto dicendo di buttar via Wes Anderson che adoro.

Grazie a tutti quelli che raccontano storie con la gente, per la gente, insieme alla gente.
A tutti quelli che mi aiutano a capire ogni volta che i miei mezzi sono troppo ridotti per farlo.

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