– Siedi, – disse poi  la regina ad Atalanta. – Ti debbo parlare. Atalanta sedette, aggiustandosi la tunica sulle ginocchia.  – Di dove vieni ? Perché sei venuta ? – cominciò bruscamente la regina.    – Ma…
– Sì lo so, sei qui per la caccia. Questo è quello che si racconta. Ma a me non la dai a bere. Sono troppo vecchia per credere alle favole.
– Signora, io non capisco…
–  Capisci, capisci. Sei mia ospite, e non posso buttarti fuori di casa mia, perché sarebbe un’offesa agli dei. Ma sarò schietta con te: non azzardarti ad alzare gli occhi su mio figlio. (…)
–  Signora, esclamò Atalanta, balzando in piedi piena di sdegno. – Sono qui a caccia di un cinghiale, non di un principe.
Altea la scrutò a lungo in silenzio.
– Mio figlio dovrà sposare chi dico io, – riprese poi. – E tu non sei quella. Non voglio per casa donne che sappiano maneggiare l’arco e che preferiscano la caccia ai fornelli di cucina. Voglio donne vestite come si deve…
Atalanta si guardò le ginocchia abbronzate che uscivano dalla tunica.
– Non ho mai pensato a sposarmi, – disse – non ci penserò nemmeno ora, non ci penserò mai.

    – Meglio così – disse Altea. – Mi auguro che sia la verità. Ad ogni modo sappi che io ho un mezzo infallibile per farmi obbedire da Meleagro. Non sperare di allontanarlo da me, di metterlo contro di me. La sua vita è nelle mie mani. Quando nacque, le tre Parche sono venute a danzare intorno alla sua culla. (…) …io le feci entrare perché l’ospitalità è sacra, le ristorai e le feci servire di tutto quello che desideravano. Avevano freddo ed io ordinai che si accendesse un gran fuoco nel camino. Io le avevo riconosciute, al di là di ogni dubbio. Ma non potei rifiutarmi di mostrare loro il mio bambino, quando chiesero di vederlo. (…) Esse gli fecero molti complimenti, gli danzarono intorno per farlo sorridere, ma intanto cantavano un’orribile cantilena della quale non potrò mai scordare le parole. Dicevano: E quando quel tizzone si sarà consumato, del bel Meleagro il filo sarà tagliato. Così cantando esse indicavano un tizzone acceso. Il fuoco lo aveva quasi tutto consumato. Restavano ancora pochi centimetri di legno, meno del palmo di una mano.

    La regina Altea si alzò, si diresse verso la parete, ne aprì uno sportello e ne tolse uno scrigno d’oro che posò sul tavolo. Da una catena che portava al collo staccò una chiave e se ne servì per aprire lo scrigno. – Guarda – ordinò la regina, con voce imperiosa. Atalanta guardò. Nello scrigno non c’era altro che un tizzone spento. (…) – Non appena ebbi compreso quello che dicevano le Parche – mormorò Altea – mi precipitai sul camino e ne tolsi con le mie mani il legno acceso. Bruciandomi le dita lo spensi nella cenere, soffocando fin l’ultima scintilla. (…) Meleagro è vivo perché io lo tengo in vita, Meleagro è mio, è mio !

    (…)… il principe Meleagro entrò ridendo nella stanza. – Atalanta, – disse, – la caccia sta per cominciare. Vieni, o crederò che tu sia in visita da mia madre per imparare qualche punto di ricamo. Atalanta lo guardò commossa. Era alto, forte e schietto, i suoi capelli erano biondi come l’oro dello scrigno, i suoi occhi fondi e brillanti come tizzoni accesi. (segue)

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