La ricicleria di via Lombardi è molto lontana da casa mia, perciò non l’avrei mai conosciuta se non fosse stata chiusa per lavori quella di zona. Ma con l’auto carica di una serie di detriti da cantina non ho scelta. La tangenziale risplende del primo vero sole primaverile di quest’anno. Rari momenti a Milano, in cui l’aria è di vetro e i colori tornano a vedersi. All’arrivo la receptionist mi aiuta a orientarmi. Si sale uno scivolo di cemento con l’auto e si parcheggia sopra le vasche: legno, ferro, materiale elettrico, ingombranti. La cosa è molto più sensata che nella discarica della mia zona, dove bisogna salire strette scale di ferro per gettare ogni detrito.

Dunque comincio. Ombrellone da spiaggia. Irriconoscibile eppure nitido nella memoria. Non so quante spiagge ha attraversato con noi. Lontanissime da qui e lontanissime tra loro. Lui va negli ingombranti. Intanto che vado e vengo dall’auto alquanto compiaciuto dalla razionalità dell’impianto che sta aiutando la mia schiena, divido i detriti e seguo i cartelli.

Vorrei essere come il progettista di questa ricicleria. E’ una ricicleria, certo. Quindi ogni cosa che ci viene portata è perché non serve più. Ma se leggo i cartelli sui vasconi verdi non compare mai la parola “rifiuto”. C’è solo la materia. Ferro. Legno. Materiale elettrico. E poi sì, ingombranti. Dietro alle parole con le quali pensavo questo viaggio si nasconde molto di più di questo viaggio.

Definire una discarica “ricicleria” significa impostare il tema della distruzione, dell’eliminazione e della fine nel più generativo dei modi possibili. Se penso ai fallimenti, ad esempio. Potrei provare a definirli per materia, senza chiamarli fallimenti. Forse entrerebbero molti più fatti, forse si connetterebbero con logiche diverse. Intendo dire: il ferro che sto buttando ora non finisce insieme agli altri oggetti di ferro perché ha esaurito la sua funzione, ma per quel che insieme al resto del ferro può tornare ad essere o diventare. Connettere le cose finite per ciò che possono generare insieme. Per il loro nesso vitale e non perché sono finite.

Potrei smettere di definire gli errori “rifiuti”, per esempio. La maggior parte delle poche cose che credo di aver maturato dentro di me – non intendo quelle che mi hanno spiegato, intendo quelle che dentro di me hanno preso forma con l’esperienza e il percorso dei giorni – le ho maturate rielaborando gli errori. Molte delle cose che ho trovato e che trovo le avevo cercate perché ne ero disperatamente affamato. Da quegli errori e da quella fame è partita la chiamata all’avventura della ricerca.

Poi penso che la ricicleria sia una meravigliosa lezione sulla distruzione. Su quella energia che mi fa sollevare i detriti e me li fa lanciare dall’alto per vederli infrangersi fra le macerie. E’ liberante, come è liberante lasciar cadere nel vascone della coscienza – perché si distruggano – tutte le parti di me che non mi servono più per essere me. La loro disintegrazione, il loro andare in pezzi sprigiona la stessa vita di quando “vanno in pezzi” le acque. Quando ne vieni fuori. E’ una distruzione senza rabbia, anzi riconoscente come quando ci si congeda da un genitore, da una scuola, da un maestro, da un tempo attraversato per mano con una persona importante. Ho vissuto diversi tempi nella mia vita come se non dovessero finire mai. Poi sono finiti. Sono tutti qui, nei vasconi verdi del cuore. Ma ho gestito male i cocci, non ho avuto abbastanza amore da distruggerli con la felicità che avrebbero meritato. Come per ringraziarli, come per dirgli ho ricevuto da voi quel che dovevo e ora vi distruggo proprio perché ho capito profondamente il vostro regalo per me, che ora prevede il nostro congedo.

Questo tempo buonista ci impedisce di cogliere il profondo amore che c’è nel distruggere, perché siamo un tempo immaturo che si attacca alle sottane dei giorni e delle abitudini. Il ferro va col ferro, dice la donna che aiuta e sorveglia lo smaltimento. Semplicità. Logica. Natura. Il ferro va col ferro. Devo imparare da lei a riconoscere la materia costitutiva dei miei cocci interni. Ridividerli, riassociarli secondo un principio generativo di nuovi tempi e di nuove funzioni. Riciclo in luogo di rifiuto. Alla fine legno, ferro e materiale elettrico: materie. Ingombranti: verbo. Cose di cui non ho più bisogno. Azioni di cui non ho più bisogno.

Ma non si può fare tutto questo dalla parte di ciò che si butta. Il punto è che cosa può diventare il ferro che va col ferro. Come tornerà nel ciclo della vita, come si evolverà. Me ne vado con l’idea che la distruzione di tutto ciò che in me mi impedisce di essere me comporti non solo una grande liberazione, ma una sottile sensazione di suspence: e adesso, senza quello che ho distrutto, che succederà?

0 risposte

  1. E’ proprio uno delle (poche) cose interessanti di questa vita, quella suspence. Ecco perchè non sopporto le cantine e i garage pieni di ogni genere di ricordo.
    gigi

  2. Potessi ricevere un centesimo per ogni errore sarei l’uomo più ricco del mondo…riciclo…riciclo…giusto, siamo infinito in continua trasformazione. Allora perchè così spesso me ne dimentico?

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