Dante non li ha mai visti e chissà se sarebbe mai riuscito a immaginarli, i templi pagani di oggi: i Centri Commerciali. Chissà che girone sarebbero stati. La domenica pomeriggio non era granché nemmeno quando ero bambino io: Domenica in, Novantesimo minuto. L’Italia stava sul divano con il pranzo sullo stomaco, la pioggia d’inverno aiutava questa paralisi chiamata riposo. Dopo molti anni eccoli qua, con le loro novità sconvolgenti: aperti la domenica, aperti la sera, caldi d’inverno e freschi d’estate. Passarci qualche ora ti permette di uscire senza uscire. Una gigantesca e maligna anestesia. Credo che sia questo che compriamo più che il prodotto che ci viene venduto: un temporaneo oblio, la fuga di qualche decina di minuti dal mondo che sta al di là di quella piccola città.

C’è fame in giro. Negli occhi dei papà e delle mamme che spingono i carrelli con la prole al seguito e frugano tra gli scaffali qualche consolazione a buon prezzo. Mi merito almeno una birra ma non ho i soldi per la birra che mi merito. Si cercano zone franche: angoli di occasioni, bollini che gridano costo poco. Su alcune targhe di cartone c’è scritto Il più conveniente, ma non dice per chi. E’ un momento sospeso tra la vita che vorresti, esposta davanti a te illuminata al neon, e quella che hai e che ti aspetta al parcheggio.

La ragazza è oggettivamente brutta. Solo che ha un corpo evidente: troppo magra, troppo alta, troppo truccata. Sta in uno stand al Carrefour insieme ad un’altra e a un ragazzo. Lei è mora con i capelli lunghi, l’altra è bionda e il ragazzo ha uno sguardo che si spegne un centimetro oltre la punta del naso. Sono su un microset, spiaggia e mare, in costume da bagno seduti sulla sdraio. Fingono di essere lontani e di divertirsi su una spiaggia caraibica. Facciamo pochi passi, ristorante Ciao. Una donna in sedia a rotelle, obesa, con il marito. Se fosse una sceneggiatura sarebbe un accostamento retorico banale e stucchevole. Stanno finendo di mangiare. Il marito fa fuggire l’occhio oltre la spalla della moglie, verso la spiaggia caraibica. Consolazione inarrivabile e non per i soldi. Diventa inarrivabile la vita e guardandoli sembra che lo diventi sempre più in fretta. Diventa inarrivabile camminare da soli, sostenere un dialogo, avere qualcosa da dirsi.

Ma loro la strada l’hanno fatta. Sono lì e mangiano insieme da Ciao.

Penso alle due forme d’amore in mezzo alle quali sono passato. A sinistra la spiaggia tutto sesso musica e felicità, a destra il silenzio appesantito dei due anziani con lei sulla sedia a rotelle e il piattino di pasta di Ciao. Dura per l’amore, mi sa, rispondere a tutto quello che gli chiediamo di essere. Eccitante, emozionante, spiazzante, creativo, sorprendente come nella spiaggia dei tre ragazzi da un lato; fedele, forte, fondato, duraturo, per sempre come nella silenziosa coppia a destra. Magari i due anziani sono partiti dalla stessa seduzione cui strizza l’occhio quella spiaggetta farlocca e quei tre ragazzi arriveranno alla loro solidità. Magari no.

Nel fiume di carrelli, avvolto nell’odore dei cibi, transito davanti a uno store di vestiti: una scadente copia di Abercrombie. Altri corpi di ragazzi in costume. Bellissimi, lì per farsi fotografare. C’è un po’ di coda all’ingresso, roba da tre minuti. Esce un profumo nauseante e sono certo che dentro sarà buio pesto. Quasi Abercrombie, quasi felicità. Anche per i teen agers c’è posto nel girone dei clienti. E poi i bambini, le mamme, gli anziani. Una gigantesca culla, un utero in cui sognare di essere altrove e diversi. Ogni civiltà ha i suoi templi e ogni tempio dice che cosa ci è sacro, cioè il nostro valore assoluto e ultimo. E se devo guardare questo Centro Commerciale dico che il nostro desiderio ultimo sono una carezza e un po’ di consolazione.

E’ la storia di un mondo calante e tenerissimo, un’umanità indifesa e innocente: le code per la felicità, i parcheggi per la felicità, gli scontrini per la felicità. I tre per due. I saldi. Le aperture straordinarie. I punti. La fidelizzazione, come in ogni tempio che si rispetti. Tra polpa sceltissima e polpa famiglia, così ingenuamente incantati e sospesi. E’ il girone dei clienti: compri gratis e inizi a pagare tra un anno. Per questo ho pensato che se quando mi diranno che ho sei mesi di vita avrò forze abbastanza,  comprerò tutto e morirò sei mesi prima che vengano a chiedermi i soldi. Grande idea. Li rovinerò. O forse no… cioè: bisognerebbe essere proprio sicuri della diagnosi. Se no poi sono guai.

0 risposte

  1. Da clienti a consumatori.

    Amassi Twitter e FB ti darei il mio Mi Piace. Ma non li amo e quindi te lo scrivo. Che mi sembra pure meglio. E che mi piace di più. Avvicina il mio gesto a quello, oggi natico, della scrittura, vera, quella senza tasti, che sembrava meno, ma diceva di più.

    Odore di cibo. Nelle città italiane l’odore di cibo e molto ridotto rispetto all’invadenza di una Londra o similcittà di matrice anglosassone. Meno fritti, d’accordo, ma soprattutto meno fobia del cibo.
    Quella anglosassone si scarica in modo patologico. Ossessione per una qualità industriale che è pessima, innaturale e nociva (ma questo si scopre dopo, dopo anni di ricerche che suggeriscono un altro prodotto aggiuntivo per correggere i difetti del primo). E per poi tornare al naturale. Che diviene anche esso una trovata industriale…
    La cultura dominante nutre fobie nei confronti del cibo. Si mangia a tutte le ore: e perché mai? Perché devo entrare alla National Gallery con l’odore del fritto nelle narici? E trovare lo snack bar o il coffee shop all’interno dell’esposizione?
    Ma le fobie non generano la qualità. Che è mercificata. Tutti sanno dove trovarla. Ma costa la fatica della ricerca scomoda e la non-omologazione verso i modelli pubblicitari tipo bifidus actiregularis (ma che c… è???).
    Torniano alle nostre origini e scopriamo l’atteggiamento corretto verso le cose. Ed il cibo. E l’amore. Ed il lavoro. E. E. E.

    La non-ricerca di qualità rende penoso lo spettacolo della crisi che tu descrivi. Crisi e mancanza soldi. Ma mancanza per cosa?? Per non riempire il carrello di buste surgelate che scadranno nel freezer?? Esistono situazioni di bisogno reale, che occorre separare da tutte le altre.

    Sai che mi occupo di vino. Bere meno ma meglio (e più costoso, forse), potrebbe essere un mio slogan. Mi viene contestato che in questo modo si finisce per acquistare bottiglie che non ci possiamo permettere tutti i giorni. Bene, e quindi?? Dove sta il problema??
    Facessi un sondaggio scommetto la mia mano sinistra che la gente non ricorda i vini che ha bevuto negli ultimi 7 gg: il loro nome, etichetta, profumo, gusto. Niente.
    Allora meglio acqua per 6 gg ed un vino che abbia qualcosa da dire, magari frutto di una mini ricerca, di piacere.
    E’ un esempio. Altri ne verrebbero a ruota.

    Mi sento estremista. E sono solo.
    Ciao.
    Luca

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *