“Ma la categoria degli uomini che formulano le rivendicazioni e ogni altra cosa, che detengono il monopolio del linguaggio, è una categoria di privilegiati. Non saranno certo costoro a dire che il privilegio non merita di essere desiderato. Non lo pensano. Ma soprattutto sarebbe indecente, da parte loro. Molte verità indispensabili – e che salverebbero gli uomini – non vengono dette per una ragione di questo genere; coloro che potrebbero dirle non possono formularle, coloro che potrebbero formularle non possono dirle. Il rimedio a questo male sarebbe uno dei problemi urgenti della politica.

In una società instabile i privilegiati hanno una cattiva coscienza. Alcuni la camuffano sotto un’aria di sfida e dicono alle folle: ‘E’ assolutamente opportuno che voi non abbiate privilegi, e che io ne abbia’. Altri dicono con aria benevola: ‘Reclamo per tutti voi una porzione di privilegi uguale a quella che possiedo io’. Il primo atteggiamento è odioso, il secondo manca di buon senso. Ed è troppo facile.

L’uno e l’altro spronano il popolo a correre sulla via del male, ad allontanarsi dal suo unico e autentico bene, che non è nelle sue mani, ma in un certo senso gli è vicinissimo. Il popolo è molto più vicino a un bene autentico – che sia fonte di bellezza, di verità, di gioia e di pienezza – rispetto a coloro che gli accordano la propria pietà. Ma non avendolo raggiunto e non sapendo come pervenirvi, è come se ne fosse infinitamente lontano. Coloro che parlano in suo nome, che gli parlano, sono parimenti incapaci di comprendere non solo in quale affiliazione si trovi ma anche quale pienezza di bene sia quasi alla sua portata. E per il popolo è indispensabile essere compreso.

La sventura è di per sé inarticolata. Gli sventurati supplicano in silenzio che vengano loro fornite le parole per esprimersi. Vi sono epoche in cui non sono esauditi. Ve ne sono altre in cui vengono fornite loro alcune parole, ma scelte male, perché coloro che le scelgono sono estranei alla sventura che interpretano.

Per lo più costoro ne sono lontani a causa del posto che le circostanze hanno assegnato loro. Ma anche se le sono vicini, o se in un periodo della loro vita, magari recente, vi sono stati immersi, le sono nondimeno estranei, perché tali si sono resi non appena hanno potuto.

Il pensiero prova ripugnanza a pensare alla sventura così come la carne prova ripugnanza di fronte alla morte. L’offerta volontaria di un cervo che avanza passo a passo per presentarsi ai denti di una muta è possibile pressapoco quanto un atto di attenzione nei riguardi di una sventura reale e vicinissima da parte di uno spirito che ha facoltà di esimersene.  Ciò che, indispensabile al bene, è impossibile per natura, è sempre possibile per via soprannaturale.”

Simone Weil

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