Prendo un caffè nella breve pausa del lavoro e mi arriva una telefonata da un’amica carissima. Abbiamo pochi minuti e non sa se parlarmene, poi decide di farlo anche se non è una cosa facile. La mamma le ha confidato che il papà non è il suo vero padre. Oggi la mia amica ha 40 anni e il papà è malato seriamente. Piange ma non perde la sua finissima ironia: Proprio adesso che avevo scoperto le nostre somiglianze. Sto con il surreale, in ascolto di cose che non posso capire perché certe cose si capiscono dalla pelle, perciò per capirle bisogna che ti tocchino.

Escludo di risponderle cose vere e banali. Ma lui ti ha amato come un padre; quel che conta sono questi 40 anni; la biologia non c’entra con l’amore; con lui ti è andata bene, sei stata accudita e amata…

Tutte cose che potrebbero aver senso se la mia amica parlasse di abbandono. Invece parla d’altro. La radice del suo dolore è il tradimento. Con questa rivelazione, più che un padre ha perso una madre. Ci sono frasi molto brevi – Non è tuo padre, per esempio – che tagliano la vita in prima e dopo. Riaprono la storia e la riempiono di domande su ogni parola e su ogni silenzio. Su tutte le volte in cui avremmo dovuto intuire, sulle cose che si sarebbero dovute capire e alle quali non siamo arrivati perché riposavamo sulla premessa della fiducia.

Dire la verità quando è fuori tempo massimo è ancora dire la verità? Non sono nemmeno sicuro che per dire la verità sia sufficiente dire una cosa vera. Quando parliamo è perché per qualche ragione lo preferiamo al tacere. E naturalmente mi chiedo quale fosse il risultato che la madre della mia amica cercava attraverso la sua confessione. Non riesco a non vederci il desiderio finale di liberarsi di un peso enorme, di vomitare l’inaccettabile e l’insostenibile perché qualcuno potesse sostenerlo con lei. Una vita con un segreto così titanico – senza averlo mai detto nemmeno al marito – alla fine viene riversata senza fronzoli e senza sconti.

Non ci vedo cattiveria, ci vedo un’ernia del cuore che non regge la pressione.

Se guardo la scena da lontano vedo una madre di 40 anni che ascolta una figlia di 70. Mentre raccontiamo, il nostro racconto racconta noi. Solo che non lo vediamo. Forse quello che è successo davvero è che una madre ha chiesto alla figlia di diventarle madre. Adulto e bambino si sono ribaltati e la richiesta è una richiesta di perdono anche se non direttamente espressa.

No, non somiglia a quello che la mia amica avrebbe voluto.  Ma anche se nello stesso istante ha perso a titoli diversi sia il padre che la madre, conosco poche persone radicate, centrate e luminose come lei. La relazione che ha con suo marito è una relazione che ha retto alcuni grandi dolori e che è rimasta intensa, leale e di cuore. Quindi possiamo non avere un padre ma essere lo stesso connessi a una radice e a un principio.

Se il padre è qualcuno che indica la strada e che ci assiste nel riconoscere il nostro percorso, vedo pochi padri migliori degli errori. E’ grazie agli errori che miglioriamo la rotta e la affiniamo a quello che siamo, è grazie agli scivoloni anche gravi che troviamo nuove dimensioni di noi stessi. Tanto che forse – come mi trovavo a pensare qualche giorno fa – non è così detto che gli errori siano errori: si può nascere podalici e si può anche crescere podalici. Forse gli errori sono solo questo, ma sempre di crescita si tratta.

Se il padre è una radice di semplicità e di chiarezza non vedo padri migliori dei bambini.

Se il padre è un affetto forte e sicuro non vedo padri migliori dei cani.

Se è una guida silenziosa e presente i marinai lo sanno: le stelle di notte, il sole di giorno e nient’altro.

In qualche modo a tutto questo siamo comunque connessi e tutto questo ci è padre. E se guardo le storie che ho incontrato nel mio lavoro e nella mia vita personale, casomai il padre fosse forza e coraggio nella battaglia, non vedo padri migliori delle madri.

Ci sono madri che sono profondamente padri. E padri che sono profondamente madri. Ci sono figli, cani, soli e stelle che guidano insegnano e ci rimangono accanto. In generale tutto quello che respira con noi è nel flusso, supera i ruoli, modifica se stesso senza paura per rimanere se stesso. Quel che di vero non passa mai nel passare di tutto il falso. Perciò sì, alla fine sì: il padre della mia amica è proprio l’uomo che lei pensa, quello che l’ha tenuta in braccio da bambina, non come se fosse sua figlia ma perché era sua figlia. E poi suo padre sono anche molte altre cose come le stelle e le lune e tutti i giorni e le notti. E come l’uomo che un giorno ha fatto l’amore con sua madre, che adesso torna a lei come figlia.

Rompendo gli argini dei ruoli vediamo con chiarezza e semplicità che siamo genitori e figli a turno gli uni degli altri. Bisogna accettare questa danza, forse come diceva Peter Brook: tenersi forte e lasciarsi andare con dolcezza.

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