Siamo nella sala del trono di Altea, e sono una di fronte all’altra due regine che esprimono il potere di due regni diversi. Altea ha il potere di dare la morte al proprio figlio, e di fatto è quello che sta facendo da molto tempo. Atalanta ha il potere del futuro, se di per sé potere significa possibilità di fare. Ha le speranze, le mete, i traguardi tutti da inseguire. Ha così tanto tempo davanti a sé che non vede nemmeno tutto quello che vorrà in futuro.
Due regine, due regni, due poteri. E qualcosa in comune: Meleagro.

E’ proprio su Meleagro che si accende il diverbio. Qui davvero per Atalanta giunge il momento di scoprire che ognuno vive nel mondo che i suoi occhi costruiscono. Che le cose sono il senso che noi gli diamo. A un primo approccio, Altea in questo caso sembrerebbe avere ragione: insomma chi di noi non si sarebbe scagliato nel fuoco per togliere quel tizzone ? E chi di noi non lo avrebbe custodito per sempre gelosamente ?
In realtà la maledizione non è nelle parole delle Parche, ma proprio nello sguardo di Altea.

Il tizzone rappresenta Meleagro, e le Parche dicono soltanto che quando avrà finito di bruciare morirà. Chi non vorrebbe avere una vita così ? E’ il miglior augurio che si possa fare a una persona: vivere intensamente tutta la vita per tutto il tempo che le è dato, e morire avendo tutto attraversato e sentito. Vivere comporta di bruciare, dare calore, fare luce. Morire avendo attraversato la vita: che benedizione ! Il problema mi pare – oggi più che mai – è morire non avendola nemmeno sfiorata, non essendosi fatti toccare da nessuno e da niente.

Ma… c’è la mamma. Che già dai tempi dei greci sembra indagata per eccesso di controllo. Vivere comporta il rischio di morire. Non correre questo rischio significa essere già morti. E’ quello che avviene a Meleagro. Il potere di tenere in vita deraglia facilmente nel potere di tenere sotto controllo. Tenere sotto controllo significa facilmente tenere lontani da quelli che riteniamo pericoloso. E sul senso del pericolo si dipana la seconda parte del conflitto, anche se apertamente le due donne non ne parlano mai. Se Altea fosse davvero preoccupata per la vita di Meleagro gli impedirebbe di andare alla caccia del cinghiale. L’animale sta facendo strage in tutto il regno, lo scontro potrebbe essere letale.

Eppure di questo Altea non si preoccupa. Altro, invece, la turba. Non la morte del ragazzo, ma l’allontanamento del ragazzo da sé. L’uscita dal suo raggio di influenza, la perdita di controllo e di potere su di lui. In altre parole: l’avvento dell’amore, della passione per un’altra donna: il fuoco. Non c’è dubbio che Altea ci veda lungo. E’ una donna di un’altra età e di grande esperienza, le basta uno sguardo a capire. Vede lungo ma non vede vicino, non vede dentro di sé. L’unica persona che sta tentando di difendere tenendo al proprio collo la chiave dello scrigno, è se stessa.

Difatti minaccia di bruciare il tizzone qualora Meleagro perda la testa per una donna diversa da quella che lei sceglierà. E’ qui che esplode il senso profondo della profezia delle Parche. Non era una profezia ma un invito: lascialo vivere. Ecco Atalanta scoprire – dopo i molti paesaggi esteriori – i primi paesaggi interiori.

Eccola basita e sorpresa, ginocchia abbronzate che escono dal vestito come una ragazzetta. Sente che qualcosa non va nel discorso di Altea, sente che non può condividerlo. Ma non ha ancora la capacità di capire perché, né di rispondere come vorrebbe. Ecco una maternità ribaltata fare capolino nella sua conoscenza: da mamma orsa che la tiene in vita, ad Altea che detiene la vita. Da dono ad abuso, da istinto a cultura. Atalanta è arrivata nel mondo degli uomini.

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