Le sei e mezzo di mattina. Esco di soppiatto con pinne, maschera, cintura zavorrata. Respiro piano, assaggio l’aria del nuovo giorno cercando di entrarci di sbieco, senza alterarlo. Non c’è nessuno in paese, e sulla spiaggia solo altri pescatori come me. Canne fissate nella sabbia dove tra un paio d’ore ci sarà la bolgia. Ma adesso – poco prima del sole – gli occhi divorano ogni cosa sbigottiti dalla trasparenza.
Stamattina c’è un po’ di mare. Ho il sospetto che sia troppo per me, che ho appena iniziato a fare pesca subacquea e non ne so molto. Però la voglia è tale, e le occasioni così poche, che non si può rinunciare. Faccio il mio quarto d’ora per arrivare alla spiaggia di sassi. Poi mi preparo. E quando sono seduto, pronto ad entrare in acqua, due schiaffoni dalle onde mi rinfrescano le idee al riguardo. C’è davvero troppo mare per me. Non sono in grado. Se divento più bravo magari, ma adesso non mi fido.
Rimango a guardare per una ventina di minuti da solo, in silenzio. E penso che quando c’è la meraviglia da vedere, siamo tutti in casa a dormire. E che questo forse non riguarda solo l’estate e non riguarda solo il mare. Che se si riuscisse a ribaltare un paio di priorità si aprirebbero spazi di movimento inimmaginabili, forse. Bene, ritorno.
Nel tardo pomeriggio, il sole è a ponente sul filo della montagna. Manca poco al tramonto. I bimbi giocano sulla spiaggia e io sento al telefono l’amica Elisabetta Bucciarelli, di cui ho appena letto “Femmina Deluxe”, appena pubblicato. Le parlo di quel che secondo me sta coraggiosamente affrontando nel suo percorso di scrittura, di quel che non riesco ad affrontare io nel mio. E poi di quello che mi piacerebbe vederle fare in futuro. Insomma al solito: sfide con noi stessi per arrivare più in fondo alle cose. Come per ogni persona che lavora.
E mentre chiacchiero mi viene in mente la scena della mattina. Perché poi, tornando, avevo visto che un paio di pescatori sub erano entrati e se la stavano nuotando in tutta tranquillità. Che per loro quel mare andava bene. E ho pensato che prima di entrare in una sfida avrei dovuto fare bene i conti. Vale anche per un film. Ci sono sfide che gli altri vedono facili, ma che non sono per me. Non da tutti i mari so difendermi. Non oggi perlomeno. Per cui mi viene spontaneo fare festa all’ultimo romanzo di Elisabetta, nel quale trova e scopre nuove chiavi di scrittura, toglie aspetti ormai vecchi di sé, insomma si butta in un mare poco conosciuto e sono sicuro che nel giro di qualche romanzo ne uscirà con splendide catture di profondità.
Poi ci sono altre situazioni. Situazioni nelle quali sei sulla riva, il mare è un disastro tra onde e sporco e freddo, eppure devi entrare. Non è nemmeno sempre vero che puoi stare a ponderare le tue forze e se te la senti. Questo per me è il lungometraggio. Si può stare anche a guardare quel mare. Ma poi bisogna entrarci…
Ci sono passata per caso oggi qui da te, e mi trovo seduta sulla spiaggia, al tuo fianco. Ogni tanto entro, ogni tanto no. Spesso sbaglio i calcoli. E faccio fatica. Altre volte mi sembra possibile.
Ci vediamo presto e grazie Gio.
E.