Con i miei soliti tempi, quest’estate ho visto uno dei casi cinematografici dell’anno scorso. Scritto e girato radente alla realtà, ma con un velo di poesia che ne dà uno scarto importante rispetto ai rischi del morboso, del facile, del voyeuristico. La storia di una nonna che non ce la fa ad assistere impotente alla lenta morte per malattia del nipotino, e che decide di fare tutto quello che può per aiutarlo.  Anche quello… che non può. O meglio che non potrebbe se restasse fedele alla propria identità di una vita.

          Credo che lo spunto più bello del film sia proprio questo. Il trovarsi di fronte ad una situazione che nessuno dei presenti può cambiare, ma magari qualcun altro che al momento non c’è. E decidere di diventare quel qualcun altro. Il prezzo è altissimo. Relazioni, idea di sé, scale di valori. Quando si ribalta tutto non siamo mai soli rispetto agli altri: siamo soli anche rispetto a noi stessi, perché non ci riconosciamo più.

          Va di conseguenza che Irina Palm sia una potente storia di cambiamento. E’ interessante – per me – vedere come ogni volta che un film tocca qualcosa di importante e di vero,  ci sia sotto la stessa domanda: che cosa stiamo dando per scontato, nel nostro contesto, che se rimesso in discussione potrebbe riaprire la questione, ridare una possibilità ? E ancor più emozionante constatare come la risposta ci sia spesso impedita dalla paura di destabilizzare la nostra configurazione tranquillizzante delle cose.

          Nel caso di Irina Palm il problema è morale, oltre che di opportunità. Servono molti soldi, la nonna è una vedova e non lavora più, e per tutto il film gli altri personaggi non fanno che dire di lei: “Non sa far niente”. Il papà e la mamma del bambino guadagnano evidentemente troppo poco per poter offrire a questo figlio la possibilità di una cura efficace, che sarebbe praticata all’estero, molto lontano. 

          La situazione realisticamente è senza orizzonti. Si capisce che non è contemplata in questa famiglia l’ipotesi di andare a rubare, per cui non resta che una rassegnazione piena di rabbia inespressa, che finisce per dissanguare tutte le relazioni familiari. E’ qui, molto in anticipo rispetto alla struttura classica, che la nonna si mette in discussione: quando capisce che avanti così si muore, e che alla morte si può scappare – se si può – solo attraverso un ribaltamento di tutto.

          E’ uno scambio con la vita: sacrificare la vecchia identità della nonna contro la vita del bambino. Per una persona salvata, un’altra dovrà rinascere diversa da come era. Gli ingenui tentativi della nonna con le agenzie di lavoro interinale, ci fanno respirare la sua volontà di tentare contro ogni speranza, di sfidare la più palese evidenza. E’ vecchia, non ha qualifiche. E nemmeno si immagina cosa troverà là dentro, quando fa il suo ingresso nel locale a luci rosse sulla porta del quale campeggia una ricerca di hostess. E’ questo per lei l’antro della caverna più profonda, il punto di non ritorno: se accetterà o meno di masturbare uomini a pagamento.

          Momento cruciale, questo, che ci rimanda a qualcosa di ancestrale. Le due paure strutturali del cinema horror si affacciano in un film quasi aderente al realismo. La paura della morte, e la paura di perdere la propria identità. Che vivo a fare se io non sono più io ? Quando Edipo scopre la vera natura del proprio amore, si strappa gli occhi uscendo dal palazzo. Non possiamo vivere senza quel che siamo. E’ per questo che l’ingresso della nonna nel locale a luci rosse, e l’accettazione del posto di lavoro, hanno qualcosa del suicidio…

 

0 risposte

  1. Bello il tuo post, a me il film e’ piaciuto nonostante la situazione ai limiti dell’assurdo in cui l’ho visto: 26 dicembre dello scorso anno, esco per il cinema natalizio con mia madre e mio padre… Come sempre entro al cinema senza saper nulla del film scelto… E il titolo, Irina Palm, ci suonava interessante…
    Momenti di puro imbarazzo uniti a una sottile perfidia che metteva alla prova prima me di fronte ai miei, poi i miei di fronte a me… Mio padre non ce l’ha fatta ad apprezzare il film, era troppo per lui.
    Mia madre gia’ meglio, ne abbiamo anche parlato.
    La storia e’ potente, forse l’ha imbarazzata perche’ un po’ si e’ immedesimata in Irina, avendo piu’ o meno la stessa eta’. Ma si e’ immedesimata fino a un certo punto, perche’ il rigetto morale ha sicuramente vinto.
    Meravigliosa la scena del te’ delle cinque in cui si rivela alle amiche, devastandole di curiosita’ e mettendone a nudo la pochezza. E poi la scena in cui abbellisce l'”ufficio”: e lo trasforma in un posto di lavoro normale, con i fiorellini sul tavolo e il quadretto alla parete.
    L’attrice e’ meravigliosa, ne ho visto poi delle foto da giovane, è la compagna di Mick Jagger se non ricordo male.
    Davvero avrebbe potuto essere la nonna di tutti.
    Anna

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