A settembre, a casa nostra, è arrivato un pianoforte digitale. Non un pianoforte come quello su cui studiavo trent’anni fa, da bambino, ma una tastiera pesata che al dito è proprio uguale uguale, con una dinamica soddisfacente. Adatta a far studiare un bambino, Samuele, senza devastare i vicini. Cuffie, regolazione del volume… insomma una serie di strutture difensive per tutti.
Naturalmente non ho resistito. Sono sceso in cantina e ho riesumato i libri di tecnica. Scale, esercizi. Quelli che da bambino non avevo mai voglia di fare e che mi sarebbero tanto serviti a suonare un po’ meglio. E ho cominciato a riprenderli. Non mi azzardo a suonare pezzi veri e propri. Sto solo… preparando le mani. Solo preparazione, perché la ruggine è di quelle da pleistocene.
La cosa che mi stupisce è che questa preparazione mi dà una gioia immensa. Recuperare le mie mani, sentire le dita che ricominciano a vivere, che sono sempre più pronte… non si sta parlando di musica, pensavo, si sta parlando di me. Di quello che sento io. E mi domando perché da bambino volessi invece soltanto suonare senza mai fare esercizi, e quale dei due Giovanni sia più “giusto”.
Poi mi viene in mente uno dei consigli agli scrittori di Carver. Dice: preparate la terra. Non andate a caccia di storie. Preparate la terra e basta. Il vostro spirito, la vostra mente, voi stessi. Ascoltate, vivete come vi fa stare bene. E la storia, se deve spuntare, spunterà. Altrimenti, avrete ottenuto di vivere bene, che non è cosa da poco.
Così mi dico che preparare la terra forse è l’unica cosa che bisogna veramente fare. L’unica di cui un narratore sia veramente responsabile. Essere pronto alla storia che nascerà. Anche se poi la storia ci sorprenderà comunque, perché essere pronti è uno stato generico, ma una storia è sempre specifica quando nasce, e richiede non solo di essere pronti ma di essere preparati a lei. Un po’ come quando ti nasce un figlio. Sei pronto al fatto che nasca, ma niente può prepararti a lui.
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