E’ il primo sole che arriva. Non bello, filtrato da qualche residuo d’inverno. Spiffera ancora rasoterra, tra le pieghe dell’asfalto. Aspetto che montino il set, mi siedo su un gradino e guardo a terra davanti ai miei piedi. E’ tutto un mondo. Zone di piano infinite sulle quali fissando lo sguardo mi sembra di poter planare come da un’astronave. Sono zone morte, solo qualche detrito. Gemme abortite, piccoli residui del grande albero qui vicino. Oltre, poco lontano, un collo di bottiglia infranto. Provo a sospendere la mia consapevolezza della cosa, scarto il mio filtro mentale che mi suggerisce: bottiglia, maleducazione, degrado. Plano con l’astronave e sono grande come una formica.

Masse brillanti, spettacolari, distribuite in forma circolare con qualche scia più fine che si allunga a raggio. Viaggiatori solitari e veloci attraversano questa zona mista. Formiche, ma anche altri non completamente identificabili per me. Passano con rotte certe nello scintillio della nebulosa brillante. Più in là increspature del suolo. Solchi. Poco più di un mese fa qui era irrigidito dal gelo e un velo di ghiaccio ricopriva la zona. Ora i solchi sono aperti, sprofondano in crepacci nei quali i viaggiatori solitari e indaffarati evitano di entrare.

Qualche massa circolare che rotola, ocra e nera. Sigarette spente. Un bottone. Siamo in un parcheggio, forse qualcuno l’ha perso scendendo o salendo dalla macchina. Forse un movimento, un imprevisto, un tempo non avuto per ripararlo o un’incuria. Una storia comunque sta lì indecifrabile davanti a me e ai miei occhi di astronauta. Vento. Ogni tanto tutto prende a rotolare lievemente e cambia l’orizzonte. Il panorama da rasoterra si trasforma secondo per secondo. Non credo che la cosa potrebbe interessarmi tanto se non mi riguardasse, se non parlasse in qualche modo di me.

Ma non ho la chiave per capire. Forse – come dicono – è la configurazione di una mappa che ci rivela il territorio. La non coincidenza tra le due cose: territorio e mappa. Esercizio. Mettiti seduto. Guarda l’asfalto davanti a te. Entraci. Descrivi ciò che vedi. Sei in un territorio, ora disegna la mappa. La mappa è la tua assegnazione di senso allo spazio che hai davanti. Il non detto quotidiano che ti abita senza che tu lo sappia. Un esercizio di Teometria. Misurare Dio. La formica sulla spiaggia attraversa la pagina di un libro aperto e non raccoglie niente delle parole che ci sono scritte sopra. Raccoglie altro. Temperatura, dimensione, colore, sostanza. Qualcosa che sta sulla pagina allo stesso modo delle parole scritte, che non è le parole scritte ma ne costituisce la pre condizione.

Attraverso la pagina di quel libro con la sublime ignoranza della formica. Non vedo parole, non colgo significati. Sento sollevare il suolo sotto i miei piedi quando un po’ di vento muove la pagina. Arrivo dall’altra parte semplicemente prendendo atto che quel tipo di terreno è finito. Forse ora mi si impone un salto. Un salto che eviterò individuando il percorso migliore grazie alla sublime sapienza della formica.

Poi chiamano dal set. Girano. Si risale in fretta in astronave: ossigeno nelle bombole finito. Ognuno attraversa territori e abita significati. Lascio alle formiche i loro percorsi e le loro assegnazioni di senso. Mentre rientro nei confini del mondo consentito mi rendo conto che mi hanno fatto un regalo. Avrei dovuto saperlo, ogni extra mondo ne lascia uno al viaggiatore che l’ha attraversato. Il regalo è che in questa manciata di secondi di risveglio… vedo il mio modo di vedere. Guardo il mio sguardo. Qualcosa di interessante c’è sotto: la possibilità di prendere la distanza da me stesso. Di essere altro e più di me stesso grazie all’essere stato per un po’ senza me stesso. Alcuni forse che mi sembra di riuscire a fissare. Forse l’esperienza di Dio che posso avere è direttamente proporzionale alla mia distanza da me. Detto altrimenti: forse l’ostacolo tra me e Dio sono io. Detto altrimenti: se prendo le distanze da me forse mi avvicino a me. Perché, come dice Patrizia Valduga, io non sono solo ciò che sono. Me ne vado pensando primo esercizio di Teometria: fermati, siediti, guarda l’asfalto. Racconta cosa vedi. Sei tu.

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