Anche oggi una bomba ha fatto saltare un aeroporto. E’ un luogo appassionante per i terroristi. E in effetti hanno ragione: è il luogo delle partenze, delle speranze, dei progetti. Degli abbandoni, degli incontri casuali e fulminanti, dei ricongiungimenti. In pochi altri posti la vita avviene in tutta la sua pienezza come in un aeroporto.

E poi l’aeroporto è anche il tempio che celebra l’uomo che supera il proprio limite e riesce a volare. Come ripeto ai miei allievi, in latino peto significa chiedere per ottenere, ma la sua radice è greca – ptéron – e vuol dire ala. In questo modo dentro di noi è scritto il legame di sangue tra il desiderio e il volo. Se mi tagli le ali mi togli la capacità di desiderare, se mi spegni il desiderio mi togli la capacità di volare.

Chi può voler sottrarre tutto questo all’uomo? Qualcuno di molto cattivo, forse. Ma a me le storie con i cattivi non convincono mai, più che altro perché poi ci dovrebbero essere i buoni ed è soprattutto a quelli che non credo. Non mi inoltro in analisi di cui non sono all’altezza. Niente di politico storico religioso, quello preferisco studiarmelo attraverso gli articoli di persone che sono davvero sul pezzo.

Ma rimane che tra tutti i posti in cui si può far saltare una bomba, l’aeroporto è particolarmente gettonato. Non può non esserci un linguaggio in questo. L’inizio del viaggio è in aeroporto. La fine del viaggio è in aeroporto. Il fine del viaggio spesso è negli abbracci che avvengono numerosissimi in aeroporto. Ogni viaggio è metafora di tutta la vita e inizio e fine ne sono i cardini.

Far saltare in aria decine, centinaia di persone che partono, che arrivano, che incontrano, che compiono il percorso… è proprio di chi sta reagendo allo stesso torto. Se mi impedisci di vivere il mio viaggio farò lo stesso a te. E’ reattivo. A torto o a ragione è reattivo.

Mi si passi la battuta – che non è una battuta: il problema è che gli aerei volano troppo bassi. Non facciamo in tempo a cogliere, nel volo della nostra vita, l’entità della cosa. Non vediamo il pianeta inserito in un sistema solare, non vediamo il sistema solare inserito in una galassia, né la galassia inserita nell’equilibrio di tutte le altre. Eppure è di gran lunga questa la cosa più vera e che ci riguarda tutti. Uno scorcio un po’ più distante ci mostrerebbe nel nostro buffissimo camminare tutti a testa in giù. A quarant’anni sentiamo che gli anni volano, figuriamoci se potessimo assistere a 300 anni di storia guardando da Marte. Cosa vedremmo?

Vedremmo una moltitudine di esseri microscopici che stanno al mondo circa 20 minuti e che in quei 20 minuti credono di essere eterni. E proprio per questo non affrontano il volo. Non volano. Non desiderano cose veramente grandi perché sono troppo appesantiti dall’orizzonte murato che hanno di fronte. Basterebbe che alzassero gli occhi e sarebbero a contatto immediato con la loro vera situazione. Che è meravigliosa e intensissima. Ma non lo fanno.

Possiamo anche entrare nelle case e vedere quel che succede sempre più spesso in modo terrificante in questi giorni. Uomini che uccidono donne perché non reggono un no, un abbandono, una fine. Uomini e donne che erano con-volati a nozze o a convivenza. Forse non sappiamo accettare di non essere tutto e di non essere per sempre. Eppure è solo sapendo di non essere te che ti posso amare, solo sapendo di non essere laggiù che posso farci un viaggio, solo sapendo di non essere tutto che posso incontrare.

La cosa peggiore di tutta questa paura di morire è che ci impedisce di attraversare il viaggio, di volare la vita.

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