Ho visto questo film particolarmente lontano dalle mie frequentazioni, cercando alcune cose per il mio lavoro. E devo dire che alla fine ne sono rimasto sorpreso. Non mi fermerei a meditare troppo sulla sceneggiatura e sul suo impianto, e nemmeno sulla regia, che mi pare non aggiunga granché a quanto già visto sul mondo della danza. Anzi, spesso ho rimpianto proprio quanto già visto…
Ma ci sono un paio di cose che mi hanno colpito. Un momento della trama: un ragazzo allievo della scuola artistica, musicista, ottiene una scrittura per un lavoro. Ma la scrittura è solo per lui, non per il suo amico che con lui faceva gruppo. Il giovane musicista accetta e le due strade si separano. Questo costa un grande dolore a tutti, ma al ragazzo scritturato costa anche la relazione con la propria fidanzata, scandalizzata dalla scelta di accettare una chiamata importante lasciando indietro un amico.
Nel film non c’è traccia di ironia, e quel che viene raccontato ha un livello solo, quello empatico più facile e ridotto. Per cui tutto, regia musica montaggio e recitazione, tende a farci vedere il giovane musicista come egoista e scorretto. Assisto perplesso alla vicenda, perché non ha nulla in comune non solo con le scuole artistiche, ma con il resto del mondo. Cinema e teatro non sono due mondi di santi e benefattori, ma se c’è una cosa che ho sempre osservato sono gli abbracci di tutti quando un giovane viene chiamato a qualcosa di grande. Magari poi scattano invidie e gelosie, ma nessuno è così matto da chiedere al proprio compagno di rinunciare a quello per cui sta lavorando duramente magari da anni.
Un altro punto del film. Il nostro protagonista – che deve passare 200 ore di servizio sociale nella scuola d’arte a causa di atti vandalici – vi trova la ragazza della vita. Insieme preparano il saggio di diploma di lei, e naturalmente questo comporta che le 200 ore di condanna diventino poche. Gli amici lo aspettano per le partite di basket ma lui non arriva più. Reazione degli amici: rottura. Non si può compromettere un’amicizia per una donna.
Rimango sempre più desolato sulla mia poltrona mentre passa il film. Perché personalmente non chiedo mai a una storia di lasciarmi anche un messaggio, è proprio una cosa che mi annoia e mi sembra sleale: non si racconta una storia con un secondo fine. Se vuoi dire qualcosa dilla e basta: che ci inventi su una storia a fare ? Ma – dato che c’è – entro anche nel merito del messaggio che viene veicolato a caratteri cubitali da Step Up.
Valore assoluto sembra essere l’amicizia. Il punto è cosa viene veicolato per amicizia: un legame totalmente privo di comprensione per il destino e la strada dell’altro. Non c’è traccia di ascolto in questo tipo di relazione. Non c’è traccia di sapersi mettere da parte perché l’amico sta vivendo qualcosa di importante, che sia lavoro o che sia amore. Pericolosa, estremista idea di affetto… che scorre sulle note di una musica che scimmiotta una libertà e una genuinità invece del tutto compromesse se la costellazione dei valori affettivi è quella che viene mostrata.
Mentre vedo i titoli finali mi chiedo che effetto farà – a lungo termine – la semina di una cultura così egocentrica e reazionaria. Mi domando se non stiamo assistendo alla preparazione di qualcosa di preciso: allo spostamento delle emozioni da quel che ci succede dentro a quel che ci succede intorno, con la conseguenza che abbiamo sempre più bisogno di cose musiche oggetti e persone, in una scientifica eliminazione del silenzio e della nostra capacità di ascoltarlo.
sei in errore: l’amicizia non è corrosa da quel passo verso il successo di uno piuttosto che l’altro ma da un gesto infame, il tradimento. L’amico che viene scritturato ottiene l’incarico perché ha spacciato per proprie le parole e la musica dell’altro.
Ohi ohi, sarà l’età, ormai mi perdo i pezzi di film… a me è sembrato di capire che il musicista “traditore” fosse solo un cantante, e che l’altro scrivesse le musiche. Quando avviene il fattaccio noi vediamo l’amico tradito lamentarsi con una compagna: “Dicono che quello di talento è lui”. E la cosa continua a sembrarmi del tutto legittima… però voglio rivedere. Un piacere averti sul blog, Sabrina !
Non ho visto il film, ma mi colpisce il tema dell’amicizia per come viene proposto nella lettura di gio.
Purtroppo sempre di piu’ mi rendo conto che i ragazzi, e financo i bambini, hanno termini di possesso quando pensano agli amici. Non e’ molto diffusa la cultura del “voler bene” come “volere il bene dell’altro” e mi pare che gli stimoli – anche esterni, ma non solo, penso proprio ai discorsi nelle famiglie – non vadano a correggere questa direzione. E mi pare una brutta china, perche’ si allarga a macchia d’olio travalicando i confini dell’amicizia, arrivando a coinvolgere le relazioni e le relazioni d’amore in particolare.
Si vuol star bene, e questo e’ legittimo. Purtroppo, pero’, si vedono gli altri come strumentali a questo nostro stare bene, in una prospettiva fortemente autocentrata. La relazione non si instaura se non ci si sbilancia verso l’altro, se non si vede anche l’altro come essere esterno con il quale entrare in comunione perche’ anche lui – o lei – possa essere contento di stare con noi.
Ma stare con noi in piena libertà. Nella libertà di vivere la propria storia con un legame con noi, ma non con il dovere di renderci felici.
E’, mi pare, un addossare ad altri la responsabilità della nostra felicità.
E questo ci fa diventare egoisti, impegnati a costruire noi stessi con tutto ciò che c’è intorno.
Talvolta con la vita altrui.
A.