Oggi aprendo facebook ho scoperto che un ex allievo dello IED mi aveva postato la notizia della morte di Syd Field. Mi fa piacere che sia stato lui a farmelo sapere. Un allievo brillante e con talento. E come si vede rimasto connesso per qualche strana ragione a un percorso che non è il suo.

Syd Field è per gli sceneggiatori di questo tempo ciò che per gli studenti del liceo classico è la grammatica latina. Da un certo punto di vista è un sistema di regole. E questo ha provocato la reazione compatta di tutta una serie di filmaker che al grido di “Io dei tre atti me ne frego” ha liquidato Syd Field e tutto quello che lui e quelli come lui – pochi – significano. Dall’altra parte i sostenitori accaniti. Secondo me non esiste tradimento maggiore di quello dei sostenitori accaniti, che di una ricerca aperta fanno una posizione fissa, di un percorso una meta, di una crescita una posizione inchiodata.

Oggi che Syd Field non c’è più la mia mente torna a quella grammatica. A ciò che questo paradigma ha significato per me in questi vent’anni. Per me ha significato in primo luogo ordine. Una base sicura da cui partire, un porto che mi attendeva nel naufragio narrativo, una bussola nel percorso. Nessuno mi aveva avvisato – però – che l’estrema semplicità con cui era in grado di spiegare le cose al mio cervello, non era pari alla velocità di assorbimento reale. Ci sono materie che si capiscono e ci sono materie che si meditano. Si assorbono con lentezza. La chiarezza di Syd Field troppo spesso mi è sembrata facilità, da giovane.

E poi la grammatica in sé… è connessa per me a un’idea di noia senza uscita. Ma nel suo caso la grammatica era il raccolto di esperienze antichissime. Era il domandarsi – forse sì, bisogna riconoscerlo, con un po’ di spocchia da ho capito tutto io – come funzionano le storie che funzionano.

Quelli che cercano hanno diritto all’entusiasmo sregolato di quando trovano indizi. Non è presunzione, è la vera festa della vita che brilla nella ricerca delle idee, delle forme autentiche. Syd Field ha rappresentato la parte di noi che cerca quel che c’è nelle cose, la regola del loro funzionamento, il quid essenziale che c’è nelle azioni di ogni personaggio, di ogni giorno. Alla fine la ricerca di questa struttura della vita è ricerca per tutti, anche per chi non fa cinema.

Poi dei tre atti “bisogna liberarsi”, sento dire. Con sottile astio antiamericano del tutto improprio. Ignorando Aristotele, Zeami e chissà quant’altro. Come se la forma che Syd Field indagava con così tanto amore fosse in antitesi con altre forme e altri modi di raccontare. Per me quello che Syd Field lascia è soprattutto questo amore per la ricerca incessante. Dopo circa 25 anni dal suo “La sceneggiatura”, scrisse “Come risolvere i problemi di sceneggiatura”. Un libro molto diverso, nel quale in parte rettifica nei toni quel che aveva affermato con più sicurezza nel primo. Per questo ritengo che la sua eredità più preziosa sia la fame incessante di conoscenza, di profondità, di consapevolezza.

Torno qui per salutare questo maestro per me così importante che oggi ci ha salutati. Il maestro della spina dorsale delle storie. Bravi come lui ce ne sono una decina al mondo e a quasi tutti questi ha aperto la strada lui. Grazie a Syd, grazie alla parte di noi che non si stanca di cercare e cercare e cercare, di definire e ridefinire, di ripetere approfondire e scolpire per poi nuovamente dubitare e aprire. Good work, Syd. Una bellissima storia.

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