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Oltre 4.000 morti, a stragrande maggioranza anziani. Parchi e giardini chiusi. È un siluro sull’infanzia dei bimbi che i nonni portavano a giocare. E sembra rivolto a loro questo andrà tutto bene, mantra nazional popolare di questi giorni.

Andrà tutto bene è una promessa che non puoi fare, perché non hai niente in mano per poterla mantenere. Si fa per tranquillizzare, per non perdere fiducia. Ma si fa a dispetto della più smaccata evidenza e tranquillizzare senza nessun rapporto con la realtà somiglia a tradire.

Anziché promettere quello che non puoi mantenere, stai con me in quello che non puoi evitare. Accompagnami, se sei un adulto. Non come hanno fatto quelli per cui era solo un raffreddore. Ecco, loro ci stavano tranquillizzando. Non è stato molti giorni fa. Ora bisognerebbe chiedergli se ogni anno a Bergamo sfilino camion militari pieni di bare di morti di raffreddore.

Non andrà tutto bene per il semplice fatto che per molti è già andata molto male.

Andrà come andrà. Perché se ascolto questo tormentone con le orecchie di un bambino che ha perso il nonno – ma peggio il padre, la madre, un fratello – quello che sento è che questa frase è per gli altri. Per gli altri italiani forse andrà tutto bene. In casa mia quella sedia da oggi è vuota e resterà vuota per sempre, senza nemmeno il ricordo di un funerale.

Oggi dalla classe di Francesca un genitore ha inoltrato un video di Sky che celebra le vittorie italiane nello sport e ci spinge a lottare insieme contro il Coronavirus. Il mio dirimpettaio espone un’enorme bandiera italiana. E capisco che a essere attaccata è l’Italia. Fatico a entrare in questa logica, ma questa è la logica. Se l’attacco è all’Italia, il virus è lo straniero. È sempre l’altro da noi e lo sappiamo, è un discorso vetusto.

Ieri ero all’Esselunga. Ci abito a 5 minuti di macchina. Sono uscito alle 15 e sono rientrato alle 18. Sono stato in coda nei parcheggi sotterranei. 5 o 6 metri tra una persona e l’altra. Mascherine. Silenzio. La gente all’Esselunga si muove in modo diverso. Lì ho capito che sappiamo reggere questo momento molto meglio di quanto l’imbonimento nazionale voglia farci credere. La gente sa cambiare. Ho visto uomini e donne abbassare lo sguardo sul proprio passo, fare le proprie cose con essenzialità, con semplicità, con una cura che non avevo mai visto.

In questo tempo c’è un dono silenzioso e difficile. Ci stiamo risvegliando persone. Non italiani, non tifosi, non sani per diritto divino. Esseri umani. Attaccati alla vita e fragili, finalmente. Era moltissimo tempo che avevamo bisogno di un reset. Ridare un valore sensato alle cose, imparare a dimensionarle per quello che sono.

Questo virus entra in noi non solo a livello fisico ma anche a livello spirituale. Ci rendiamo conto che questo corpo non siamo noi ma è qualcosa che abitiamo in comproprietà con molte altre forme vitali che lo usano come taxi. Non solo il Coronavirus ma ogni tipo di virus e di batterio. Anche dire che questo corpo è nostro si sta facendo difficile. Perché se il virus è più forte se lo prende. Il corpo è di chi se lo prende. Sentire autenticamente di essere in un corpo ma di non essere quel corpo, è un altro dono. Perché il senso del corpo che abbiamo è malato davvero di una malattia incurabile. È un luogo performativo e lucrativo, ha assunto una carica identitaria assolutamente eccessiva. Il Coronavirus ci dice che non è nemmeno un taxi: è un autobus di linea e può essere dirottato in qualunque momento.

Andrà come andrà, perché il lieto fine già tragicamente sbugiardato di questa promessa è un’istanza buonista che ci sta avvelenando da anni. Basta con il far finta che il dolore non ci sia, iniziamo a raccontarlo con sobrietà e con verità. Basta anche spettacolarizzare il dolore. Quando lo spettacolarizzi hai ancora voglia di piacere al pubblico, di fare colpo. La profondità di questo silenzio collettivo in questo momento ci rende spettatori più maturi e finalmente adulti.

Gli show televisivi cancellati, il silenzio post atomico di questo tempo, fanno balzare all’occhio il disordine falso del mondo com’era fino a 2 settimane fa. Stiamo forse capendo che rimuovere la morte è idiota. Semplicemente idiota. Siamo abbastanza forti da poter soffrire, ma un’umanità che si fa imbonire dai tormentoni è più controllabile e non c’è l’interesse a cambiare la cultura, se no la televisione lo starebbe già facendo.

Andrà come andrà. E impareremo a viverlo come potremo.

3 risposte

  1. Grazie Giovanni, sto scrivendo favole per bambini (richieste da Chiara), ti mando la prima. E’ un modo per non nascondere la verità, ma stemperare l’angoscia e il disorientamento di un bambino che può, nella sua innocenza, fantasticare su una rondine che interviene a salvare gli uomini. Un abbraccio, mamma

    Il giorno ven 20 mar 2020 alle ore 22:55 Giovanni Covini ha scritto:

    > Giovanni posted: ” Oltre 4.000 morti, a stragrande maggioranza anziani. > Parchi e giardini chiusi. È un siluro sull’infanzia dei bimbi che i nonni > portavano a giocare. E sembra rivolto a loro questo andrà tutto bene, > mantra nazional popolare di questi giorni. Andr” >

  2. Grazie Giovanni, mi sono ritrovata moltissimo nelle tue parole. Quello che mi dispiace di più è sempre questo nazionalismo assurdo quando tutti nel mondo abbiamo lo stesso problema, mi sento unita a tutti senza confini. Anche io ho fatto quello striscione con le mie bambine, ho diviso la scritta perchè poi vorrò tenermi l’arcobaleno lasciando a ognuno il proprio ricordo e la propria percezione. L’ho fatto perchè l’ho trovata un’idea creativa, in un momento dove le cose vanno male questi arcobaleni fatti dai bambini con le mamme e questa scritta (anche se discutibile) di speranza…creano un po’ di leggerezza nelle strade, di unione tra esseri umani che, come dici tu, comprendono di essere vulnerabili e nella loro vulnerabilità sentire di non essere soli ma collegati gli uni agli altri.
    Una leggerezza che non significa per me, mancanza di responsabilità o negazione di quello che è…il dolore è presente ma non deve essere il solo a colorare questo momento.
    Abbiamo molto da imparare e io l’ho fatto anche oggi grazie alle tue preziose parole.
    Ti abbraccio forte.
    Irene Manzo

    1. Ciao Irene che piacere!
      Credo che gli esseri umani sentano le intenzioni autentiche per cui facciamo le cose.
      I bambini ancora di più e quindi i tuoi sono molto fortunati. (Ma questo non è che lo scopriamo oggi…)
      Ti mando un abbraccio. Grazie a te per le tue parole.

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