Roberta mica guarda. Quando sente l’acqua traboccare fa un giro svelto col dito lungo le pareti del bicchiere e lo gira capovolto sul bancone. Forse oggi si va a prendere un vestito, una cosina per la primavera che arriva. Certo con il cielo così piatto e bianco non vale la pena di nessun vestito. Il porto è ancora addormentato, e Roberta pensa che quando le nuvole si tengono così strette anche i rumori si fanno più cauti.

    Sono madre e figlia, e basta. Il bar a metà mattina è di nessuno, già lontano dalle colazioni e ancora al largo dai panini veloci del pranzo. Un bar di porto va come il mare, come i pescatori: a metà fra le cose che si toccano e si vedono, senza terra. Solo madre e figlia. Ottanta e sessant’anni circa. Al tavolino sotto il finestrone. La madre si muove a piccoli scatti e fra l’uno e l’altro resta come in fotografia. La figlia parla al cellulare, uno di quelli così piccoli che sembra stia raccogliendo le parole in mano, parole veloci e sommesse. Senza fretta, Roberta lo vede benissimo che al dito porta due vere, quella più larga tenuta all’interno, quella più stretta a bloccarla, sullo stesso dito. Chi glie l’aveva detto che ai morti gli anelli si tolgono subito ? E’ l’ultima cosa urgente da fare.

    Giuseppe viene a prenderla dopo il pranzo, fanno un giro lì intorno. Dice che le deve parlare. Forse Roberta se l’immagina già cos’ha da dirle. Ma non ci sta su, per paura di finire a sperarlo. Uno alla volta i bicchieri fra le sue mani si girano tutti e poi l’asciugamano veloce, che madre e figlia stanno aspettando. Sempre qualcuno le aveva detto che è molto più facile piacersi che capirsi, ma adesso Giuseppe arriva con la sua cosa da dirle e lei si sente a metà: lontana dalla calma di prima, ancora al largo dal porto delle parole di lui.

    Due gelati al limone. Li avete ? La madre ha una breve speranza negli occhi, chissà che si aspetta dal gelato. Chissà che mi aspetto io da Giuseppe, pensa Roberta. Sì, due al limone allora ? L’altra annuisce dall’alcova della sua mano che tiene il cellulare come una coccola al viso. Com’è essere vedova e figlia, stare a metà fra due porti girati al contrario, al largo e lontana dall’inizio e dalla fine dei viaggi ? Si deve stare scomodi, con i bagagli in giro per i giorni, senza poter smettere quelli di prima e senza poter mettere quelli di poi, quelli definitivi, quelli della madre in attesa di gelato al limone. Come si deve stare in attesa di stagione nuova ?

    Qualcuno le aveva detto: ti auguro una vita piena di giorni, giorni pieni di parole, parole piene d’amore. Ti auguro tante parole d’amore. Sua nonna, questo sì che se lo ricorda. Glie l’aveva augurato sua nonna, che come tante aveva lasciato un uomo al mare, tirato via da un giorno sbagliato.
Roberta comincia ad affettare i francesi, le piace la farina sulle dita. Le piacciono le briciole che saltano via, che rimbalzano. Oggi poi stacca prima, che viene Giuseppe che le deve dire una cosa, e non pulirà nemmeno. Oggi è festa, speranza, attesa.

    La madre sta con il cono quasi finito, adagiato nel letto della mano. Lo sbertuccia pezzo per pezzo e lo porta alla bocca. Dentro c’è un resto di gelato tremante, effimero. La figlia la guarda che non si sporchi. La figlia ha finito. La telefonata e il gelato, che nei cambi di stagione c’è sempre fretta. Roberta osserva il gesto che si ripete dal cono alla bocca, pezzo per pezzo sollevato, verso quel tesoro gelido e dolce che si scioglie. Con gesto ripetuto, preciso, antico. A memoria. Dove l’aveva imparato ?

    Pezzo per pezzo di mattone della casa bombardata, le stesse mani bambine sotto la guerra; chi cercava là sotto, chi ci ha lasciato ? Bottone per bottone, con la stessa serietà le sue mani di ragazza davanti all’uomo che la desiderava. Pezzo per pezzo il pane alla figlia che imparava a masticare. Ecco cosa si aspettava dal gelato.
Forse va prendersi qualcosa per la stagione che cambia, Roberta. Pensa a qualcosa di rosso, con i bottoni, e magari delle scarpe che si accompagnino. Dopo, non ora. Oltre il porto sicuro delle parole di lui.
A stagione arrivata.

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