C’è una famosa sceneggiatrice americana che racconta come struttura il suo lavoro durante l’arco della giornata. Una scena al mattino, poi una pausa, il pranzo, un giro da qualche parte, e una scena il pomeriggio. Stop. Bello eh ? Chi di noi non farebbe cambio ? Per di più dice: “Perché ogni scena merita le mie energie migliori”. C’è da crederle, visto come scrive.

    La provocazione però può sembrare sfacciata. Di fronte al mio studio c’è una Posta. Quando ci entro assisto come tutti allo stillicidio di piccoli rancori da coda reiterata, ai bollettini mal compilati e da rifare, ai numeri che non ho visto quando mi ha chiamato adesso non posso rifare tutta la coda lavoro anch’io sa…. eccetra. Non stiamo parlando del lavoro più faticoso del mondo. Ma insomma cosa dovrebbe dire un impiegato postale dei suoi clienti: che ognuno di loro merita le sue energie migliori e quindi fra l’uno e l’altro va a farsi un giro ? E in un Pronto Soccorso ? E un’insegnante ? E un camionista ?

    Eppure… questo lavoro di scrivere parrebbe essere estremamente faticoso. E lo è. Per quanto borghese o priva di senso possa sembrare l’affermazione. Per capirlo si può provare a pensare a cosa ci capita quando ascoltiamo una bella canzone, una di quelle che ci toccano veramente dentro. O quando vediamo un bel film, bello sul serio. O quando finiamo un romanzo che ci ha travolti. Allora sentiamo che un luogo molto profondo di noi è stato risvegliato. Che era lì ma dormiente. Che qualcuno si è preoccupato di conoscerlo a fondo e di andare a raggiungerlo nonostante le code alla posta e tutte le altre beghe della vita di tutti, quando non sono addirittura drammi. Sentiamo che ci è stato fatto un regalo. Una strada che qualcuno ha ricavato nel materiale più insidioso che esista, il cuore, e per la quale ci conduce con un amore disperato. Si tratta sempre, l’abbiamo ripetuto fin troppo spesso, di dire la verità.

    Ma chi scrive è una persona del tutto normale che si sottomette esattamente come gli altri alle beghe della vita. Di lavoro, fa questo sforzo: va a risvegliare cose sopite dentro di sé. Le visita, le esplora. Le tira fuori dal sonno. Se dovessi dire che tipo di fatica è scrivere, direi che in effetti è come ogi mattina, quando il sonno è così dolce da far sembrare la vita una cosa perfetta, e invece è lì che ci aspetta, già sulla strada, già in corsa. Continuare a svegliarsi, a sollecitare dentro di sé. Non accontentarsi mai. Tutte le volte che qualcuno mi fa notare un errore o una superficialità in quello che scrivo, riconosco che su quel passaggio ho dormito, non sono andato in profondità.

    Forse era stato uno di quei giorni da quattro scene, quando vai a casa bello felice perché il film è andato avanti. Mentre la sceneggiatrice americana quel giorno ne aveva solo scritte due, e aveva pranzato con calma… 

0 risposte

  1. Hai concluso nell’unico modo possibile. Tutto giusto. Purtroppo però, dopo un pochino di esperienza nel campo, sono giunto alla convinzione che questo mestiere e la famiglia (intesa come impegno continuo e quotidiano) non sono proprio compatibili; non perchè uno sia meglio dell’altro o viceversa. Entrambi hanno gli stessi “diritti” e non si possono scegliere le priorità da dare perchè sono due “teste di serie”. Invece perchè una delle due funzioni bene e si sviluppi c’è necessità che abbia un ‘gregario’ e non un altro protagonista allo stesso livello: infatti, da come hai descritto ancorchè telegraficamente la sua giornata, non sembra che la sceneggiatrice americana abbia “tra le palle” – nel senso buono – una famiglia come le nostre…..boh, forse proprio in questo momento io sono l’esempio di quello che sto tentando di dire, perchè non credo di essere stato molto chiaro…e sono stanchissimo!!

  2. Ci ho pensato un po’ su e riprendo la tua frase:”…di andare a raggiungerlo nonostante le code alla posta e tutte le altre beghe della vita di tutti i giorni”. In fase di scrittura sono ‘accordo con te: tutti vorremmo essere lasciati tranquilli a pescare dentro di noi per arrivare a risvegliare sentimenti sopiti nei destinatari delle nostre fatiche. Ma dove abbiamo potuto mietere? Dove abbiamo potuto passare i palmi delle mani per raccogliere profumi? Precisamente nelle file alla posta, in lunghi tragitti in metropolitana a fine giornata, in conflitti dentro noi stessi o stazionando ore in un pronto soccorso osservando pazienti, ma anche addetti ai lavori.
    E allora, meglio due sole scene e continuare la mietitura per quelle fututure. Adri

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