“(…) Perché scriviamo, o cosa significa scrivere. Non credo di aver mai pensato di trovare…; dubito, perché so che quando iniziai a scrivere, nei primi anni, provavo un sentimento totalmente esaltante e, allo stesso tempo, difficile da incontrare, ero in una tale ingenuità perché trovavo!… cioè, facevo delle scoperte. Sono stata presa dal panico, da un panico megalomane perché pensavo: se continuo così, troverò tutto e saprò tutto; era apocalittico!

Avevo l’impressione di scoprire, scoprire, scoprire e avevo l’illusione infantile di arrivare alla fine. Ed era per me qualcosa di incredibile, non sapevo si potesse arrivare alla fine; evidentemente si trattava di un grave errore e mi tranquillizzai quando mi resi conto che era interminabile e che non si trova mai, cosa che non è affatto scoraggiante. Al contrario, la necessità di cercare, che anima ogni scrittura, qualunque essa sia, filosofica, letteraria, è il segno della vita.

Non cercare, non aver bisogno di esplorare… non significa che non si trovi mai nulla, significa soltanto che appena trovato è già superato, una volta visto e sentito, è già superato, non morto! Ogni istante della scoperta, però, è un’apertura verso il prossimo sconosciuto.

Tutto questo è infinito e ci rendiamo conto in modo vertiginoso che se volessimo seguire un movimento fedele alla ricchezza di ciò che ci è occulto bisognerebbe innanzitutto avere quindici vite – no, non so neanche perché dico quindici, cinquantuno, diecimila – per accompagnare la nostra vita che è inesauribile; e allo stesso tempo, nella sua semplicità, la nostra vita ci appare bella e buona solo a condizione di aver ascoltato, di aver sentito la sua leggenda, la sua canzone; e proprio per questo bisogna scriverla.

Per me scrivere è soltanto un modo di celebrare la vita, cercando di darle i suoi nomi, che sono milioni, milioni.”

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