Di solito i commenti a favore dell’accoglienza degli immigrati sono quelli con i congiuntivi più a posto. Le argomentazioni più lucide, i distinguo più millimetrici e le battute più affilate. C’è anche più consapevolezza storica in effetti. Ci sono brani che sembrano parlare degli immigrati e invece si scopre in fondo che parlano di noi, degli italiani che arrivavano in America.

Dall’altra parte dello schieramento prevalgono discorsi di soldi, di lavoro, di spazi, di tradizione, di famiglie. E poi di pericolo, di sospetto, di malattie, di difesa della propria terra.

Il conflitto in alcuni luoghi della rete è sanguinoso. Per quanto solo verbale è carico di una violenza che sta montando in modo proporzionale al numero degli sbarchi. Tra le due parti, abito in quella dei congiuntivi.

Ma mi occupo di storie e il mio passatempo preferito è trovare le ragioni delle parti che mi sembrano senza ragione. Qui mi sorprendo a trovarle con facilità. L’uomo che con spiccato accento regionale fa l’elenco degli anni in cui ha versato i contributi, gli è stata più volte spostata l’età della pensione, ha visto gente che per tre minuti di legislatura ha vitalizi da nababbo e ora si vede distrarre milioni di euro dagli ultimi arrivati di cui non sa niente non ha soltanto torti.

Bisogna avere il coraggio di riconoscere una dignità al suo rancore.  E’ il lavoro di tutta una vita e adesso – sul finire – una realtà che gli sfugge, che non aveva previsto, che nessuno riesce a spiegargli senza demagogia e senza tendenziosità, gli sembra che arrivi all’improvviso a portargli via quel che gli spetta.

La storia non è un granché, vista da lui. Nessuno di noi è felice quando sente che gli viene sottratto il dovuto.

Dall’altra parte – la mia – quest’uomo viene spesso sarcasticamente apostrofato. Si commentano la sua cultura, la sua appartenenza politica, lo si irride con facilità perché non ha i mezzi per un confronto con i congiuntivi.

Provo a uscire dagli schieramenti, non nel senso del sorvolarli perché non ne ho la cultura sufficiente, ma nel senso di non appoggiarmici. E quel che vedo è che a nessuno dei due sono state dette le cose come probabilmente sono.

Questa immigrazione di massa è vero, è un’invasione. Come quelle barbariche e come tante altre. Le invasioni non chiedono permesso, quindi fanno vittime. E’ vero, non ha torto quel signore arrabbiato. Distruggono, sovrappongono altre culture senza un percorso guidato di integrazione, non c’è nessun percorso quando scappi dalla fame e dalle bombe. Portano via spazi che – è vero – erano stati costruiti con cura e col tempo, con la vita di persone che sono i nostri avi e non certo i loro.

Tutto questo sta davvero accadendo ed è semplicemente stupido negarlo.

E nemmeno sappiamo se queste persone siano tutte brave persone, come si chiedeva un altro pittoresco soggetto dello schieramento “razzista”. Anzi, direi che per la legge dei grandi numeri potremmo escluderlo con buona probabilità.

Semplicemente queste invasioni sono inevitabili, sono epocali e cambieranno la storia del nostro paese e del nostro continente. Stanno cambiando la storia del mondo. Come uno tsunami. Come un meteorite gigante che impatta sulla terra.

Di fronte a un terremoto dell’ottavo grado che dibattito vogliamo fare? Ci sono cose di cui possiamo solo prendere atto. Le nostre opinioni sono del tutto ridicole, quali che siano. In che senso uno tsunami “è giusto” o “ingiusto”?

Tanto lontani dal punto i “razzisti” quanto gli “antirazzisti”.

La fatica di quest’accoglienza dolente è reale, inutile irridere o insultare quelli che vorrebbero “fare piazza pulita”. In alcuni punti dell’Italia la situazione si sta facendo massacrante.

Ora il punto mi sembra che sia questo: stiamo perdendo energie in un conflitto interno di pareri che è del tutto vano e mal riposto. Non si discute se cacciare i siriani o meno. Questo tema non è davvero in discussione e Salvini, per esempio, non può non saperlo. Non si rimanda indietro nessuno se quelli che arrivano sono migliaia e migliaia.

Ma questo sottile razzismo degli antirazzisti è letale. Basta con l’atteggiamento sprezzante verso chi vorrebbe rimpatriare i siriani: non porta da nessuna parte. Il punto non è dare lezioni di storia, di civiltà, di educazione: il punto è spiegare che giusto o sbagliato che sia gli immigrati di qui non se ne andranno e che per alcuni anni continueranno ad aumentare. Si tratta di capire come organizzare la situazione, non di scegliere una situazione diversa. Questa è una libertà che non abbiamo.

Ma gli uni e gli altri mi sembrano più presi a cercare di aver ragione che intenti ad aiutare la storia. Quelli sono gli operatori, i volontari, le mani tese davvero ad accogliere l’enormità umana che arriva. E in effetti quelli parlano poco. Fanno la storia.

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