La Storia dell’acqua e degli avverbi
Pausa pranzo.
Esco dal teatro e vado a prendere qualcosa di fresco.
Rimango al tavolino che è il mio territorio di silenzio necessario durante la giornata. Un gelato al limone e una bottiglietta d’acqua gassata. Mi alzo per ritirare il gelato dal banco e rimango anche per pagare. Non è breve perché c’è un po’ di coda. Alle mie spalle sento entrare ragazzini che scherzano.
Quando mi giro mi rendo conto che devono aver giocato con le bottigliette, le loro e probabilmente anche la mia. Suppongo che l’abbiano bevuta in parte, senz’altro l’hanno toccata perché è in un altro punto del tavolino.
Non dico nulla, anche se in tempo di COVID è ovvio che non berrò più quell’acqua. Mangio il gelato e penso ai dati che mi ripetono sistematicamente i miei figli, Samuele e Francesca. 15.000 litri d’acqua per un chilo di carne. 600 per un chilo di frutta. 300 per un chilo di verdura.
Acqua.
Dove metto quest’acqua che non bevo più?
La via della gelateria ha una siepe che separa le corsie di marcia e permette anche che più persone ci passeggino accanto. Ci sono alberi, prato. Ecco cosa farò. Uscirò e la verserò su quella terra afflitta dalla siccità come noi.
Lascio la gelateria ed entro nell’aiuola. Vado accanto a un albero e verso l’acqua senza stare troppo a pensare. Ruoto la bottiglia in verticale, ma così facendo provoco una piccola onda, che anziché immergersi scivola. Scivola in una riga lunga che va a suicidarsi inutilmente sull’asfalto. Attraversa oltre un metro, un metro e mezzo di terra in una linea stretta e diritta. Un metro e mezzo in cui nessun punto della terra era pronta ad accoglierla.
Ho sentito una profonda umiliazione. Come di chi si presenta a prestare aiuto l’anno dopo che glie l’avevano chiesto. Ho sentito la protesta della terra che adesso non riesce più nemmeno a bere. E ho pensato agli avverbi nascosti in alcune frasi che diciamo o che ci vengono dette.
Avverbi.
Mi è venuto in mente che quando sentiamo chiedere Aiuto! significa Aiutami adesso.
Quando chiediamo Mi ami? vorremmo sentir rispondere per sempre.
Se diciamo Vieni con me? in realtà speriamo ovunque.
Nella trattativa estenuante dei più e dei meno, dei molto, dei poco e degli abbastanza, è quella la richiesta che facciamo: una totalità cui possiamo surrogare con mille piccole relatività, ma che quando il gioco si fa duro si impone con evidenza.
L’acqua o me la davi quando mi serviva oppure tienila. Lavaci il vetro della macchina. La richiesta d’aiuto è una merce deperibile, o sei sveglio in quel momento o è andata. Proprio non ti presentare con la tua bottiglietta. Perché poi era una bottiglietta di plastica. Se almeno avessi portato la borraccia come fanno tanti.
Ho sentito quella riga d’acqua come un altro avverbio di tempo tirato in faccia a me: troppo tardi.
E non c’è nessun finale consolatorio, perché la cosa migliore è accettare l’umiliazione, prendere atto e ricominciare. Troppo tardi significa troppo tardi.
Era: La Storia dell’acqua e degli avverbi – di Giovanni Covini
Grazie
grazie a te del tuo passaggio, Max!
Bello, ero li, vedevo la striscia di acqua. Pensavo ai tempi, ai ritmi, al cogliere “al volo” le richieste, le domande, gli avverbi. Essere connessi a se stessi per poter essere connessi al mondo e far sì di esserci proprio li, proprio in quel momento li affinché non sia troppo tardi. Mai. Grazie