Ma che cosa definisce la durata? La sua protagonista: la tensione. La tensione rende gli attimi eterni e la sua mancanza li appiattisce in un fondo indistinto. La tensione è un movimento interno che tende a qualcosa. Significa che parte da un non avere o da un non essere e tende ad un avere o a un essere. Se un’inquadratura è essenziale, se il film è autentico, se il dramma è vivo, l’inquadratura tende a un senso e questo senso si compie durante il suo svolgersi. L’inquadratura è una tensione che risponde ad un’assenza.

Se fosse così potremmo riformulare la questione: la durata è… presenza. Quando sei presente a te stesso veramente. Quando ti arrabbi, quando fai l’amore, quando soffri, quando desideri. Quando guardi o ascolti davvero. Presenza. Tensione. Durata. Nei momenti speciali sentiamo che il frangente che stiamo vivendo esonda da se stesso e contatta il tempo di tutta la vita. Quando l’istante che passa ha l’intensità per connettersi al tempo assoluto della nostra vita, allora sappiamo che ce ne ricorderemo, sappiamo che quel tempo dura più di se stesso.

Ecco perché non sarei così certo che il nostro sia un tempo veloce. Perché abbiamo compensato la mancanza di presenza con la rapidità degli stacchi. Nell’illusione che questo ci possa dare intensità e adrenalina. Ma si tratta di un tempo immobile al suo interno. Perché il tempo è definito e mosso dall’assegnazione di valore ai fatti anche quotidiani. Questo tappeto di stacchi rapidi e incolori è solo una velocissima paralisi. Nessuna rapidità può diventare vera velocità se viene negato il soggetto che la abita.

La tensione di cui parlavo è inevitabilmente la tensione di qualcuno verso qualcosa. Diventa azione, incontra ostacoli. Destrutturare questo dna del flusso narrativo delle storie e della vita significa svuotare dall’interno ogni idea di durata, perché come abbiamo detto la durata è l’esperienza che facciamo del tempo.

Non so dire se dovremmo staccare di meno o di più. Né nei nostri film né nella nostra vita. Ho la sensazione che dovremmo esserci di più fra uno stacco e l’altro. Sentire il tempo e il suo attrito che si modula sulla nostra pelle e nel nostro cuore. Abitare ogni inquadratura della nostra vita profondamente e in piena presenza e sentire che è da lei che matura l’esigenza del suo termine e il passaggio a quella successiva. Abitare il tempo, portare il filo del senso.

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