Arrivo di notte, poco dopo la mezza, inutile dire del clima e del freddo. Il navigatore mi guida indifferente all’ambientazione spettrale nella quale mi sto muovendo.  Paesino vicino a Bologna, campi e stradine con fossi. Un agriturismo. Poco sopra la mia testa si leva in volo un magnifico aereo pieno di lucette e finestrini al di là dei quali c’è già un posto lontanissimo. In questo gli uomini sono superiori agli Dei: gli uomini sono dentro ai dolori, gli Dei al di sopra. Erodoto, se non ricordo male. Congedo così l’aereo e torno alla mia stradina incerta. Si tratta di trovare il numero 30 in un deserto. Non è che non trovi il 30, è che non c’è traccia nemmeno delle 29 costruzioni che un 30 lascerebbe immaginare.

    Il navigatore asserisce che siamo arrivati, ma davanti a me c’è un cancello sinistro in mezzo a uno sterrato sul quale campeggia un bel 28. Se i numeri partono dal centro basta uscire un po’. Eh… ma come si fa a uscire dal centro di un deserto ?  La questione si fa esistenziale e decido di buttarmi. O di qua o di là. E mi va bene, ecco il 30. Altro cancello desolato. Come Brad in Rocky Horror Picture Show avanzo piano. Mi hanno lasciato le chiavi accanto al cancello sotto il citofono. In una busta. Di buste ce ne sono due. Penso epico: l’altro non è mai riuscito ad arrivare. Ma io sono qui e arriverò fino in fondo.

    L’agriturismo è oltre il cancello, riprendo la macchina, mi fermo davanti. Apro la porta di ferro con la prima chiave. Un cartello scritto a mano con grafia femminile e aggraziata: chiudete senza sbattere e sinceratevi di aver chiuso. Apro una seconda porta, finalmente in Reception. Altro cartello aggraziato scritto a mano: In caso di necessità, se è notte potete bussare alla stanza 1. In ogni caso quando partite lasciate la chiave della camera sul banco.

     Corridoio dopo tre scalini. Cartello: Ricordate di non arrecare disturbo. La mia camera è la 2, e davanti alla porta della 1 ci sono un paio di pantofole. Faccio più piano che posso per non disturbare, indifferente al nuovo aereo che sta transitando a pochi metri dal nostro tetto. Apro la porta della mia camera: se ogni cosa vuoi trovare, al suo posto la devi lasciare. Manofelice se la sverseggia di rima.

    La mattina dopo sono in teatro. Riprese dello spettacolo per ragazzi. Piazzo la camera, provo i settaggi minimi che si possono provare in queste situazioni. Arriva l’uragano dei bimbi. Dopo qualche minuto si palesa il boss della sala e delle attività teatrali locali. Mi raccomando bambini: la pipì l’avete fatta a scuola, adesso non vi scappa più, e se vi scappa la tenete fino alla fine dello spettacolo, va bene ? Stupito dal piglio rimango in ascolto.

    E sulle poltrone del teatro si sta seduti normalmente, altrimenti chi è dietro non riesce a vedere. Perciò nessuno si alzi o faccia cose strane ci siamo capiti ? Schiena diritta appoggiata allo schienale che è lì fatto apposta.  L’occhio non può non andare a un bambino piccoletto dotato di carattere quel giusto, che si mette esattamente nella posizione indicata e mostra alla maestra la sua inevitabile vista su schienale davanti. E se avete domande da fare… E se avete fame… E se c’è qualcosa che non capite…

    Agriturismi, teatri. Luoghi di riposo e di riavvicinamento alla terra e alla parola.  A contatto con l’orto cento metri sotto la pioggia di carburante dell’aereo che decolla ogni dieci minuti. Libero di vivere un’avventura inchiodato alla sedia e trattenendo la pipì. Vita rurale con regole da condominio scritte sui muri con rime malferme. Mi hanno detto che in quell’agriturismo hanno tolto il bancomat. Troppo costosa la gestione, e non ci sono molti clienti. Nemmeno a teatro. Riparto pensando che forse non è solo crisi. Forse ci sono alcuni valori – la cultura e la natura – di cui abbiamo bisogno ma che maneggiamo male.

    Il punto è che non riusciamo a non addomesticare. Addomestichiamo l’emozione dei bambini di fronte alle storie, addomestichiamo la Natura e la condotta che vi si deve tenere in favore dei cittadini che vogliono “viverla”. Le leggi della natura come mi sono state raccontate da chi l’ha vista quand’era diversa – andare a scuola con gli zoccoli nella neve come mia suocera, pescare trote come mio padre su torrenti oggi avvelenati – non hanno a che fare con il bon ton.

    Il teatro rappresenta, la natura vive. Se addomestichiamo la vita va da sé che ne addomestichiamo anche la rappresentazione. La cultura di cui ci stiamo nutrendo mi sembra sempre più precotta,  fatta di bocconi standard per bocche standard. Dieta indifferenziata perché dell’addomesticare fa parte l’omologare. Ci vuole pesce che non sappia troppo di pesce, uova che non sappiano troppo di uova. Idee che non sappiano troppo di idee…

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