Abbiamo finito le riprese. Ci sarà tempo per raccontare, anche perché per scaramanzia prima bisogna vedere cosa abbiamo combinato. Una valigia piena di ingredienti non è ancora una torta. Però alcuni pensieri questo film li ha provocati, fatti crescere dentro di me. Sapevo che sarebbe successo perché nessun film ti lascia come prima, ma soprattutto perché questo quartiere non è davvero un quartiere normale. E’ una città nella città, con le sue regole a parte, con i suoi valori e addirittura il suo slang. 

    Le cinque storie che compongono questo film parlano di un sacco di cose che non vanno. E mai come in questo caso, davanti a questa sceneggiatura nata dal quartiere, mi è stato chiaro che una storia racconta sempre il tentativo di qualcuno di raggiungere quello che desidera. Il desiderio è il luogo principale del nostro dolore, perché il desiderio è sempre desiderio di quello che ci manca. Agiamo per toglierci dal cuore questo dolore, e ogni storia racconta il nostro camminare in quella direzione.  

    Forse c’è una definizione che si potrebbe mettere nel dizionario dei sinonimi e contrari alla voce storia. Storia = uscire dal dolore. Si cerca la via, si compiono azioni. Si sbaglia, si ritenta, si cade. E non è detto che se ne esca. In ogni caso, quando ci riusciamo o quando soccombiamo la storia è finita. Come in una commedia romantica il film finisce quando i due protagonisti si sposano,  così in un thriller la fine arriva all’arresto del serial killer, o in un film di fantascienza quando vincono o soccombono definitivamente le forze del bene o del male. Insomma, se la storia finisce quando la meta viene raggiunta, significa che finché c’è la storia la meta è lontana. Le cose sono sempre nell’ultimo posto in cui le cerchiamo perché quando le abbiamo trovate la nostra ricerca è finita.

    In altre parole: la storia è la declinazione dei nostri tentativi, del nostro dolore. La più ridente delle comedy non fa eccezione. Ma…. se ad azione segue azione, finché questo meccanismo viene attivato coraggiosamente, inconscientemente, persino eroicamente dai personaggi che ci rappresentano, forse la storia di per sé è speranza. Finché la nostra ricerca della felicità continua, significa che l’equilibrio tra il dolore per ciò che non abbiamo (o non siamo) e la nostra possibilità di raggiungerlo (o diventarlo) è compatibile con la nostra vita.

    Per questo sto pensando, in questi giorni, che raccontare una storia sia già di per sé, indipendentemente dalla storia che si racconta, un gesto di lotta e di speranza. 

     

0 risposte

  1. Allora ne consegue un altro possibile titolo per il film:
    “Finché c’è storia”
    (nel senso che la meta è lontana! …. oppure, per essere positivi, per dire che c’è lotta e speranza)
    il laboratorio di quartiere tornato alla normalità

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