L’altro giorno mi trovavo a Como per un film aziendale. E durante le riprese ho conosciuto Guido Sapienza, un autore milanese con il quale mi sono sentito subito in sintonia. Mi ha parlato di suo fratello Davide, che era un famoso critico musicale ed è oggi, invece, un grande viaggiatore, che scrive pagine di diario e le pubblica, portando nelle nostre case il silenzio e l’altezza di parti del pianeta che per la maggior parte di noi è destino non vedere mai.

    Guido mi ha aiutato a procurarmi un suo libro, credo sia l’ultimo in ordine di tempo. Ne sono rimasto fulminato. E voglio dare un assaggio di queste pagine, perché sono una vera scuola di come sia importante e difficle, lungo e graduale il formarsi del nostro punto di vista sulle cose e sulla vita. Nodo centrale di ogni essere umano, ma nello specifico, per noi, di ogni uomo che voglia raccontare una storia.

 

2 novembre 1997 – Cima di Parè. 1647 slm

    “Se la morte è un limite, credo che ognuno di noi si sia trovato, anche più d’una volta, oltre il confine, quindi anche oltre la morte. Se la morte è perciò un passaggio obbligato, penso di aver ricevuto un invito a percorrerlo, sin da quando sono emerso dal grembo di mia madre. Da bambino, intruppato nella religione di massa studiata per allineare le anime, limarle sino a renderle tutte dipendenti dagli stessi bisogni e zelanti adoratrici delle stesse illusioni, spesso pensavo alla morte.

    Mi affascinava ascoltare i preti e i predicatori, ma mi affascinavano di più le avventure degli uomini, palesemente mortali, perché tendevano all’immortalità. Quando Buck, alla fine de Il richiamo della foresta di Jack London torna a essere se stesso, ricordo di averlo chiuso contro voglia, un libro così bello, e di aver visto con chiarezza che esistevano spazi entro i quali ogni creatura vivente si muove: ma vidi anche che ogni creatura vivente poteva, almeno in parte, spostare i confini di questi spazi. Ero un bambino, ma lo ricordo come se fosse adesso. Voglio rileggerlo, quel capolavoro, perché se invece la morte è la fine, ogni uomo dovrebbe provare a fermarsi e sentire la strozzatura del respiro: quella è la morte finale, non la morte che segna un passaggio a una dimensione diversa.

    Quando senti il peso della fatica, la paura del fallimento, ti trovi oltre i confini che delimitano ciò che in quel giorno, in quelle ore lunghe e dense, sei e puoi essere. Il respiro si strozza, è vero, ma poi impari che c’è sempre un’altra ora, un altro giorno, un altro te stesso che ti fa sentire di aver superato ciò che eri: fatica, paura e debolezza sono le qualità che ti guidano oltre ciò che credi di essere. Per questo, sicuramente qualcosa del tuo corpo e delle tue cognizioni “muore”, ma non finisce. Ogni giorno possiamo superare una fine, un passaggio, un limite. E’ una lunga preparazione, da condurre su diversi livelli: non sappiamo quando, ma arriverà l’ora in cui combaceremo perfettamente con la morte e ne verremo assorbiti, come i viaggiatori dei miei libri di bambino moriremo, certo, ma saremo comunque immortali.

    Ora guardo sotto di me, a mille metri di distanza: quante volte ho guardato giù e pensato a ciò che superavo tornando su. Non si vede nulla, non si sente nulla. Si ascolta il sangue che scorre, la vitalità del mattino nei sentieri e la sonnolenza dei pomeriggi nei pascoli. Si sente la giustizia dell’Essere. E si ha fede.”

 

Davide Sapienza, I diari di Rubha Hunish 

     

     

0 risposte

  1. Quante cose belle non ho ancora letto e mi propongo di leggere! Grazie Giovanni, grazie Davide. Ho stampato le due pagine e anche evidenziato alcuni passaggi di grande levatura che vorrei fare miei. Che sento come miei anche se mai saprei esprimerli in modo così efficace. Conoscevo un Sapienza, professore a geologia, molto amato e stimato da tutti i suoi allievi, in particolare da uno, mio marito: qualche legame di parentela? A/b

  2. ciao giovanni, sono davide. sono nello Yukon, sulle tracce di Jack London…il mio “maestro” assieme a BArry Lopez…e Rigoni Stern…la vita che cosa inarrivabile…oggi ho viaggiato da dawson city a whitehorse e ho deciso di vedere le mie mail dopo alcuni giorni trascorsi incuneandomi nel grande nord…e poi in un atto di vanita’ che mi concedo ogni tanto ho digitato su google il titolo de I Diari. E ho trovato questo tuo sito e quello che hai scritto. Non credo che Guido sappia di questo tuo commento su I Diari, ma devo ringraziare il mio fratellino per averti dato il mio “primo libro solista” (Si, e’ il mio debutto in narrativa). Guido mi aveva detto di averlo dato a una persona “che capisce”. …Che dirti? Ti ringrazio e ti saluto, ho usato il forum dei commenti perche’ non sto usando il mio pc…riguardo al Sapienza professore, non credo di essere suo parente, no…pero’ chissa’! Geologia mi intriga molto… dovreste vedere il Klondike, lo Yukon, ieri ho passato ore solitarie (su a nord incontri un auto ogni 2/3 ore) attorno a 64 di latitudine nord, sul continental divide. Osservavo le Tombstone Mountains e sapevo che da una parte i fiumi scorrono tutti verso la Mackenzie Valley, verso il mare artico, e dall’altra vedevo il Klondike River dirigersi a sud, dove circa 130Km dopo confluisce nello Yukon River… scrivero’ molte cose, da questo viaggio… incluso un reportage per SPECCHIO, il settimanale de La Stampa. Visitate il mio sito, ci trovate altri reportage, se vi interessa. Allora a presto.

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