E’ una battuta che ho sentito a un festival qualche anno fa. Meno stupida di quanto sembri. Ho girato un corto ma… era corto anche dall’altra parte. Dopo questo mese d’agosto passato a rivedere alcune cose che mi hanno accompagnato e formato in questi anni, mi viene una riflessione sul presente.

    Qualcuno ha scritto qui sul blog che si dovrebbe smettere di separare mentalmente i corti dai lunghi, che tutto sommato sempre di cinema si tratta, che un film può richiedere 5 minuti o 2 ore per esprimersi e che questo non significa che una cosa sia meglio dell’altra. Né che il corto debba necessariamente rappresentare solo una palestra per chi non è ancora in grado di fare un lungo.

     In realtà l’obiezione è più elegante che vera. La verità è che molti aspetti narrativi sono congeniti del lungometraggio. Lo sviluppo profondo di un personaggio non è contenibile in 3 minuti. C’è chi ha risolto i cambiamenti e i percorsi con idee geniali, con sintesi talentuose e sorprendenti. Ma del cinema fa parte il vivere un’esperienza, il convivere con un personaggio. Ci vuole tempo anche per il pubblico. Tempo di attesa, tempo di sorpresa, tempo di riflessione e tempo di emozione. Corto e lungo sono eccome due cose diverse.

    Tutto questo senza considerare i problemi produttivi, di cui non voglio nemmeno parlare perché sono evidenti a tutti. Fino alla differenza più grande tra corto e lungo: la distribuzione. Guardare Hard Candy per credere. Sentivo parlare il produttore di Fame Chimica circa un mese fa, ad una conferenza stampa. Diceva che il suo film non è riuscito ad avere mai una riga di recensione su una pagina nazionale di qualsiasi quotidiano. Distribuzione, critica. Se non ti guardano, se non ci credono, se per qualche motivo l’operazione non è rassicurante, anche se hai girato e montato, non esisti. E a quel punto ti ritrovi con un film nel cassetto e due anni inutili alle spalle.

    Vista così non c’è molta prospettiva. E forse questo è lo sguardo più vero.  Al tempo stesso  esistono il tuo presente e il tuo percorso passato: in qualche modo non si può fare a meno di esistere. L’uscita dalla strettoia – finiti i corti, irraggiungibili i lunghi –  va in più direzioni. Ne ho viste diverse intorno a me in questi anni…

0 risposte

  1. Condivido. Affermare che il corto è uguale al lungo, ancorchè possa essere vero da un punto di vista meramente concettuale, non lo è affatto da quello concreto, reale: per un motivo ‘nobile’ (come quello da te descritto, cioè l’ovvia necessità di tempo per condividere un’esperienza), ma ahimè anche per uno, molto meno nobile, ma assai più importante. E cioè il mestiere, il mercato, la commercializzazione, il guadagno; Mozart scriveva non certo solo per voler ‘essere’, ma perchè aveva fame ed una famiglia…scusate la provocazione, ma è così; giò lo sa benissimo come la penso perchè lo martello da questo punto di vista da anni. Se non fai anche le cose che altri vogliono da te perchè si vendono, non esisterai mai. E questo lo sapevano Mozart, Peter Weir, Howard Hawks….
    gigi

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