Una delle cose che ti dicono prima che tu prenda un cane è che poi ti impegna. Bisogna portarlo fuori più volte al giorno e alla fine i ragazzi non lo fanno mai, te lo ritrovi sul groppone anche quando emotivamente è spento perché non è più cucciolo e non è più una novità. Poi si ammala ed è una grana in più. Poi costa. Poi le vacanze. Poi gli altri cui dà fastidio. Poi ti chinerai per strada a raccattargli la cacca. Non sono cose così diverse rispetto a quando dici che aspetti un figlio. Ho amici che adorano i cani e detestano i bambini e ti dicono le stesse cose. Che a differenza dei cani, i bambini più crescono più diventano stronzi.
Superato tutto questo, giro alle 6.15 del mattino con Saphira per il parchetto sotto casa. Ha appena compiuto un anno ed è l’unica femmina di casa a riconoscermi una qualche autorità. Pare che solo il mio fischio sia in grado di fermare le sue pazzie. Capo branco, dicono. La cosa mi mette un po’ in difficoltà perché sono nato all’opposizione per indole e trovarsi a governare non è semplice. In ogni modo oggi posso dire che è vero, le 6 del mattino – soprattutto in inverno – a volte non sono piacevoli nel parchetto. E’ una cosa in più da fare. Ma non è per “un cane”. E’ per lei. Per Saphira. Come “il bebè” in astratto è un cumulo di fatica urlante e quando nasce diventa lui, tutti gli altri bambini non c’entrano più.
Posso dire, però, che questo tempo è per me. Che è un tempo quotidiano in cui sei costretto a fare due passi. Se ti occorre puoi telefonare e andare avanti con il tuo lavoro, ma alle 6 del mattino la cosa è alquanto rara. Stai con il tuo cane e con te. E guardi il mondo, guardi quello che c’è intorno. L’anno scorso ci è capitato di vedere il cadavere di un uomo che si era impiccato nella notte qui nel parchetto. In questi giorni un surreale personaggio sta seduto tra i rami di un albero con netbook e chiavetta e lavora impegnatissimo. Ieri mattina ci siamo trovati in una camera da letto che non potevo non fotografare. Due ospiti dell’albergo con più stelle al mondo.
Camminiamo piano, reduce io da un’operazione di appendicite fatta qualche giorno fa. Scatto questa foto perché sento che mi salva da qualcosa. Perché rimugino da giorni su tutta la storia dell’Ilva e vedo questo mondo precipitare in alcuni momenti davvero senza paracadute, così sospeso tra il lavorare per ammalarsi di cancro o salvarsi dal cancro per morire di fame. Abbiamo fatto in modo che il lavoro che si fa per vivere sia la prima causa di morte. L’Ilva è un emblema, sono quei picchi simbolici che si portano dietro tutta una realtà coerente anche se meno clamorosa. Qui non è questione di crisi, ma di un criterio di convivenza con il pianeta e con il mondo che è completamente da rifondare e ci vorrebbero persone luminose e illuminate che ci indicassero la strada.
Sento che Saphira e i due ospiti dell’hotel sono molto più connessi di me al mondo che ci sta intorno. Dove trovano si sdraiano e riposano. Qui nel parchetto c’è tutto un viavai di personaggi così. La crisi è reale al piano di sopra, dove c’è possesso, lavoro, dove ci sono figli da mantenere, progetti da condurre, priorità gravissime da sostenere. Qui siamo a contatto con la terra, con il sole che sorge, la pioggia che cade e le stagioni che passano. Qui, la crisi non arriva: niente si aveva prima, niente si ha ora e un pasto lo si rimedia. Ma è chiaro che – se questa crisi facesse saltare lo Stato Sociale – anche per i due ospiti non avere un ospedale gratuito in cui andare un domani potrebbe essere determinante, quindi non mi viene nemmeno in mente di pensare che dovremmo vivere tutti così. Ma prendere da loro qualcosa, prendere da Saphira qualcosa. Questo sì.
E’ erotismo nel suo senso più alto. Cioè danzare una danza d’amore con tutto quello che abbiamo intorno. Sentire che ci appartiene e che gli apparteniamo. Ogni albero, ogni filo d’erba. Anche ogni cosa. Sentire che non siamo scollegati o lontani. Si può usare un albero per impiccarsi, si può usare un albero per lavorare al computer, si può usare una panchina come camera da letto. Siamo connessi al pianeta che ci sostiene perché ognuno di noi lo sostenga nel modo che gli è specifico. Anche Saphira, che in casa dà un contributo unico di pazzia e di nonsense.
Il capo branco del mondo, ovunque sia seduto in questo momento – non so se alla Casa Bianca o nella Piazza Rossa o in altri luoghi altrimenti colorati e letali – non è connesso con noi. Gli alberi non gli appartengono. L’Ilva è tutto un progetto che non ha a che vedere con il pianeta e adesso è durissima uscirne. Costerà molto, moltissimo dolore ed è già costata la vita di molte persone. Ho sentito dire che in questi anni la politica è stata mangiata dall’economia e l’economia è stata mangiata dalla finanza. E ancora mi sorprende quanto ad ogni passaggio si perdano i contatti: la politica non c’entra niente con noi, l’economia ha mangiato la politica senza interagire virtuosamente, la finanza ha seppellito l’economia senza avere nessun rapporto con la realtà, con noi. Addirittura senza avere nessun rapporto con i soldi reali.
La politica della Germania non ha nessun rapporto con il resto d’Europa, il tetto si stacca dalle basi e ne va fiero e lo vedi volare come Icaro verso la sua titanica distruzione finale: alla Germania è già capitato due volte ma non impariamo a connetterci. Non sentiamo di far parte dello stesso gioco e che dobbiamo farcela insieme. Che l’unico modo di farcela è farcela insieme. Saphira mi sta dando un’altra indicazione preziosa e urgente. Con i suoi microscopici canini sta risicando sempre di più la pettorina del suo guinzaglio. Oggi è Ferragosto e tutti i negozi sono chiusi – anche se un tentativo lo faremo, dato che nemmeno alle feste siamo connessi. Ancora un piccolo morso e il collare si scioglie. Ce ne siamo accorti tardi. Il pianeta sta risicando il guinzaglio e il capo branco del mondo non lo sta capendo. Noi stiamo risicando il guinzaglio. Non me la caverò tirando ancora di più: me la caverò se ce la caveremo insieme, se andremo d’accordo e se non tireremo, né Saphira né io. L’alternativa è perdersi o rischiare di farlo.
E’ una danza erotica, come nelle immagini di molte religioni: il dio e la dea uniti in un amplesso a dire che la divinità è una relazione d’amore. Il capo branco del mondo – ovunque sia – danza una danza soltanto pornografica, priva di relazione e tesa al proprio piacere immediato, in cui l’altro non c’entra. Mi sa che ci conviene lavorare su questo guinzaglio, osservare i segni dei canini del mondo che ci sta avvisando e connetterci profondamente a noi stessi.
Il primo commento te lo invio io in questo caldo pomeriggio ferragostano, caro Gio. Rimpiango le mie passeggiate all’alba con la mia cagnolona, un momento per me stessa, come dici tu, prima di entrare nel vortice quotidiano. Incisiva la tua sintesi sulla emblematica situazione dell’Ilva. Terribile, aggiungerei. E l’analisi sul rapporto economia-politica- finanza completamente disconnesso dal nostro vivere quotidiano. Ciao, a presto, attendo le news sul tuo libro.
Tutto pazzescamente vero, se solo lasciassero prendere le decisioni a chi è illuminato…