Stress. Pressione. Fretta. Una sofferenza planetaria del nostro tempo. Una lamentela multilingue e multiculturale che va tutta nella stessa direzione. O non si lavora o si lavora troppo. Le soluzioni per affrontare il problema sono complici del problema: nessuna proposta sociale credibile che inviti ad un ritmo diverso, piuttosto mille soluzioni commerciali per fare più in fretta senza nessuno sforzo.

Lo stress accerchia la nostra sfera intima, quella personale e quella sociale. Tre aree nevralgiche per lo sviluppo del personaggio. Il frenetico oscillare fra queste dimensioni nelle quali abitiamo l’esistenza, rende la nostra vita un film pieno di stacchi. E se ci pensiamo molto cinema di oggi racconta un mondo pieno di stacchi. Frenetico, veloce, diremmo a prima vista. Ma è davvero così? E’ davvero un mondo veloce?

C’è un equivoco molto diffuso non solo nel pubblico ma anche presso alcuni montatori, specie i più giovani. E cioè che la velocità sia data da una fitta rete di stacchi. Più sono ravvicinati, più c’è ritmo. Sembrerebbe un’evidenza. Ma è un’evidenza ingannevole. Il punto non è se uno stacco è di due secondi. Il punto è quanto durano questi due secondi. La domanda ci connette con qualcosa di diverso che con la mera divisione del flusso narrativo. Siamo pieni di impegni e lo sappiamo, ma quanto durano i 10 minuti della nostra colazione? E quanto durano i 6 minuti che impieghiamo a superare il semaforo con la coda? Quanto durano le nostre otto ore di lavoro?

Il tempo nel cinema è durata. La durata è il tempo connesso alla percezione che ne abbiamo. E’ esperienza. La nostra. Pertanto non è scandito dalla quantità di stacchi: vive all’interno degli stacchi. La durata del tempo è il viaggio che ci conduce da uno stacco all’altro. Ce ne rendiamo conto quando passiamo da qualcosa di esaltante a qualcosa di deprimente o viceversa. Il tempo  abita in modo elastico tra diluizione e densità. Gardaland: ore di coda per qualche minuto di ebbrezza. Ma quell’ebbrezza ha una densità superiore a quella delle ore di coda. Quell’ebbrezza dura tutto l’inverno nei racconti e nei ricordi.

Per oggi mi fermo qui e divido questo pezzo in due parti. Lo faccio perché ho scelto di tentare una comunicazione più connessa a internet. Da diverse parti mi si consiglia una maggior brevità e bisogna ascoltare le voci soprattutto se ripetute e concordi. Sono i maestri che la vita continua ad offrirci. Sarà per me un esercizio di essenzialità. Buona settimana intanto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *