Pochi giorni fa un’amica mi dice: “Sai come quando la gente ti chiede come va, che tu non puoi mai dire come va veramente, cioè puoi dirlo fino a un certo punto. Perché la gente vuole avere a che fare con te, ma non vuole sapere niente del tuo dolore”. Come sempre la mia amica centra le cose nel nocciolo.  

    E’ proprio su questo filo che si è sviluppata la mia richiesta ai creativi dello IED. Nascondere il dolore. E’ quello che facciamo sempre, e abbiamo nella televisione un’ottima insegnante. Qualcuno mi obietta che però tutti i casi di cronaca nera vengono trattati con ampio dispendio di immagini e inchiostro. Peggio ancora. Perché sono pagine che sfogliamo con curiosità, non con partecipazione. Dietro la porta rassicurante di un giornale aperto, spiamo dal buco della serratura delle fotografie, sussurriamo nel buio i nostri compiaciuti commenti, complici dei titolisti della testata.

    Niente a che vedere con il dolore.

    Il fatto è che per realizzare tutto questo ci vuole strategia, c’è una logica, ci sono meccanismi che poi, consolidati nel tempo, diventano automatismi anche per noi. Proponevo ai ragazzi dello IED di andare a vederli. Di tirarli fuori chiaramente questi meccanismi.  Il nostro quotidiano occultamento della sofferenza, finalizzato al restare in società, al non essere emarginati. Se vuoi avere audience tra gli amici, parla pure di te ma non tirare fuori il dolore. Perché è contagioso, perché è uno specchio potente di quello che si agita anche dentro i tuoi amici. E quindi metterli in contatto con il tuo dolore significa metterli in contatto con la loro stessa sofferenza. Niente di nuovo mi pare, semplici istruzioni per l’uso dell’happy hour.

     Cosa c’è di meglio di un testo terribile, in certi punti quasi illeggibile come “La Notte” di Elie Wiesel. Illeggibile perché talmente puro, talmente secco, rigoroso e compiuto che non si riesce a fargli fronte. D’altro canto lo scantonamento è socialmente giustificato: ma con tutti i guai, i problemi, con tutte le menate che ho già devo anche sorbirmi Wiesel piuttosto che un film drammatico ? Ecco il lavoro, dunque: siete ad un Happy Hour. Avete intorno gli amici, qualche ragazza che vi interessa, è prima di una serata che si annuncia promettente. Raccontate per filo e per segno quello che racconta Wiesel come se fosse successo a voi l’estate scorsa, o qualche tempo fa. Fatelo senza disturbare nessuno. Date le notizie precise senza mandare di traverso lo stuzzichino. Non ci rovinate la serata, insomma.

    I ragazzi rileggono il testo e la sfida si annuncia al limite delle possibilità. Tornano a chiedermi la finalità del lavoro. La finalità è fare consapevolmente ciò che di solito facciamo inconsapevolmente.  Smascherare il nostro modo di mascherare. Più d’uno tra i giovani creativi ha tirato fuori soluzioni illuminanti. Tra qualche giorno ne vediamo una, dando tempo, a chi volesse, di fare un tentativo fra sé e sé.

    Buon lavoro… 

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