Alla fine la sfida è stata accettata, e in alcuni casi anche vinta. Questo è il felice esempio di Francesco Mariano Delogu. Mi limito a trascrivere quest’ottimo lavoro, rimandando a tra qualche giorno l’analisi più specifica di alcuni meccanismi. Come sempre preferisco rispettare il tempo di pensiero e di assorbimento di ognuno di noi.

    Il lavoro di Mariano prende di petto il testo di Wiesel e rispetta le consegne, il che significa che la lettura può essere molto fastidiosa, data l’intensità e la purezza dello scritto originale. Ma chiarire dei meccanismi di mistificazione e di adattamento proprio della verità in un sistema linguistico più accettabile, richiede un lavoro su cose nette e forti. E’ quindi nel rispetto profondo della testimonianza di Wiesel che questo lavoro è stato fatto. Ecco dunque il testo da happy hour.

 

Da “La Notte” di Elie Wiesel. Un adattamento di Francesco Mariano Delogu

 

    “Ad un certo punto il botto, la centrale elettrica di Buna è saltata, un casino, subito sono arrivate le guardie che si sono rese conto che c’era lo zampino di qualcuno. Gironzolando hanno scovato delle tracce, e dopo un accurato controllo hanno pure trovato delle armi, a quel punto l’Olandese, che per sua sfortuna era il capo, si è ritrovato al fresco. Gli hanno fatto di tutto per settimane ma non sono riusciti a cavarne un ragno dal buco, allora l’hanno mandato in viaggio premio ad Auschwitz e da lì l’abbiamo perso di vista.

    Invece il figlio, Pipel, è rimasto, e anche lui si è subìto lo stesso trattamento del padre, non sapevano più in che lingua chiedergli le cose.

    Dopo un paio di giorni stavamo tornando da lavoro e abbiamo visto tre pali alti nel piazzale centrale e le guardie che in assetto da terza guerra mondiale erano pronte al solito tran tran. C’erano tre tipi legati come salami e tra loro c’era anche Pipel, che oltre a stare zitto come un pesce, si mordicchiava il labbro proprio come una trota.

    Le S.S. non ne avevano voglia di appenderli di fronte a tutti, si vergognavano come delle bambine, ma alla fine il lavoro è lavoro e visto che tutti si erano tirati indietro ci si misero tre guardie. Ed il bambino era sempre fermo e rosso come un peperone.

    Li hanno fatti accomodare e li hanno incravattati tutti e tre insieme. I due grandi hanno urlato qualcosa riguardo la libertà mentre il bambino “muto era”. A un cenno del capo campo, zak ! ed eccoli appesi come polli. Dopo un po’ di silenzio con la voce rauca il capo campo ci ha fatto togliere i cappelli. Tutto questo sotto un tramonto che non ti dico.

    Non riuscivamo a non piangere. Poi nuovamente il “rauco” ci ha fatto rimettere il cappello in testa. A quel punto è iniziata la sfilata: i due uomini erano secchi come prugne al sole, invece il bambino sempre con la solita faccia da pesce, però ora fuor d’acqua se ne rimaneva appeso, mezzo e mezzo come le triglie fresche che vedi al mercato la mattina presto. Gli sono passato davanti e ho controllato bene.

    Ci è voluta mezz’ora prima che finalmente ci mandassero a mangiare, mai visto un bambino così tenace! E mentre andavamo verso la mensa sentivo qualcuno che dietro di me borbottava classiche frasi di circostanza, su Dio e su dove fosse finito, ma la ciliegia sulla torta, per completare la giornata, è stato che anche la minestra aveva un saporaccio di morto.”

 

Buona riflessione… 

     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *