Per guardare dal di dentro il lavoro di Francesco, bisogna fare un passo indietro. Insieme ai ragazzi dello IED abbiamo riflettuto sul fatto che ogni volta che raccontiamo una storia stiamo sì comunicando dei fatti e delle emozioni, ma ci stiamo anche inserendo in un sistema comunicativo più ampio, che ha delle regole e dei parametri che ne garantiscono la sussistenza. Questi parametri, diciamo, sono quelli che autorizzano o meno un certo tipo di contenuti e di modi.  Un piccolo esempio: se mentre si discute parte un pugno, l’intero processo di discussione è destituito di senso, e si regredisce verso la lotta.

    All’interno di una discussione “civile” (termine rassicurante per lo meno quanto labile), i pugni non hanno diritto di cittadinanza. Detto così sembra chiaro, in realtà “pugni” sono molte cose. Per esempio, il dolore. La comunicazione franca e diretta del dolore. Rimossa, evitata, guardata con sospetto, utilizzata in modo falso e scorretto (vedi le varie vite in diretta televisiva…). E quindi succede questo: che le regole non dette della comunicazione sociale vengono comunque prima di quello che abbiamo da dire. Qualunque cosa sia.

     Una gag. Un uomo in una biblioteca si avvicina velocemente al banco e dice sottovoce:
– “Mi scusi, ha un bicchiere d’acqua ?”
La bibliotecaria sorride e ne riempie uno dalla sua bottiglietta. Il signore scompare velocemente e torna un istante dopo e sussurra:
– “Mi scusi eh, ha mica un altro bicchier d’acqua ?”
La bibliotecaria un po’ stupita glie ne dà un secondo. La cosa ricapita sempre più velocemente per altre volte, finché la bibliotecaria perde la pazienza:
– “Ma insomma se ha tutta questa sete vada al bar, no ?”
– “Ma io non ho sete – ribatte l’uomo sottovoce – è che vede… c’è un incendio, ma qui è vietato alzare la voce!”

     E’ ciò che ci accade inconsapevolmente ogni volta che dobbiamo fare i conti con le regole di comunicazione. In parte ce la consentono, in parte ce la impediscono. Chi lavora nella comunicazione ha continuamente a che fare con i limiti sottili di questa situazione. E l’esplorazione di questi limiti è estremamente ricca di spunti. Perché ci dice la quantità di strategie che inconsapevolmente attuiamo per dire ciò che “non va detto” e restare nel gruppo, ci dice la quantità di compromessi a cui ricorriamo tra verità e “dicibilità”. Ci dà suggerimenti sulla possibilità di modificare le strettoie di questi parametri.

    Il lavoro di Francesco Mariano attua con sobrietà e con molta furbizia alcune di queste strategie, che tra qualche giorno analizzeremo insieme. 

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