“Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò” diventa: Ad un certo punto il botto, la centrale elettrica di Buna è saltata, un casino… Ecco la prima mossa di Francesco. Il passato remoto che  indica un momento preciso e importante nel tempo, diventa un passato prossimo, entra cioè nella sequenza della quotidianità e quindi di per sé in una sfera più normalizzata. Ottimo inizio: sfumare i contorni del tempo, non riconoscere ai fatti un luogo nella storia, ma abbassarli al livello del ripetersi quotidiano.

    Un casino introduce un’altra strategia che si sovrappone alla prima: un commento personale. Wiesel non ne fa mai e questo conferisce una notevole forza al suo racconto. Francesco invece inserisce un casino perché questo gli consente una mossa fondamentale: il commento personale all’interno della storia. Un commento espresso dal narratore separa la storia da chi la racconta, gli fa prendere le distanze e ne diminuisce la responsabilità. Come a dire: io sono sempre io, sono sempre quello che sta qui con voi all’happy hour, siamo sempre noi e questa storia non ci separerà, perciò vi dico io per primo che è stato un gran casino, perché condivido il parere che certamente avrete voi.

     “La Gestapo” diventa le guardie, e questo rispetta un senso di realtà ma ci fa scivolare su un piano quotidiano non corretto: la Gestapo era sì anche una forza composta di guardie, ma le guardie come le intendiamo noi non sono la Gestapo. Un’altra mossa impercettibile e perfettamente riuscita: una falsa equazione. Ricondurre l’eccezionale al normale perché non dia fastidio è come dire che tutto sommato la cosa non era poi così diversa da quello che succede tutti i giorni, e che ci consente di stare qui tranquilli a fare l’happy hour.

     “Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio” diventa: Gironzolando hanno scovato delle tracce. Altra strategia implacabile: conferire alle azioni più determinanti e terribili il sapore della casualità e dalla fatalità. Erodere il nesso tra desiderio e azione è come dire: non è colpa di nessuno, certe cose capitano. Alleggerire le responsabilità, facendo accadere le cose senza farle discendere da una volontà ma attribuendole ad una logica fatalista e astratta di cui nessuno è responsabile.

    Su tutto il testo, Francesco distribuisce a pioggia alcune espressioni non eclatanti, non eccessive, ma perfettamente normalizzanti: un casino, c’era lo zampino di qualcuno, gli hanno fatto di tutto, si è ritrovato al fresco, cavarne un ragno dal buco, l’hanno mandato in viaggio premio, non sapevano più in che lingua chiedergli le cose.  E’ una cosa sulla quale torno sempre a riflettere: la costruzione della strada destinata a far arrivare il nostro contenuto al destinatario, influisce in modo decisivo sul contenuto e sul destinatario. La strada è costruita da entrambi, dal modo di parlare e dal modo di ascoltare. Francesco sta continuando a dire: è tutto come al solito, anche le parole e i riferimenti, non c’è nulla che possa alterare la nostra quiete, che ci spinga a forzare le nostre espressioni, o a diminuirle, o che modifichi la strada che percorriamo abitualmente per comunicare fra noi.

    Salto moltissime cose perché un blog non consente analisi troppo estese. Mi bastava condividere il senso di questo percorso. Tengo ancora ad una cosa, che ho molto apprezzato nel testo di Francesco:”Viva la libertà! Gridarono i due adulti. Il piccolo, lui, taceva”.
Diventa: I due grandi hanno urlato qualcosa riguardo la libertà mentre il bambino “muto era”.
Togliere la parola alle vittime.  Cancellare la testimonianza del valore e del dolore. Sintetizzarla con una piallata veloce. La storia è scritta dai vincitori perché le vittime sono tutte morte. Questo è un grande esempio di censura e di strategia. Ha urlato qualcosa, non so cosa, non ho sentito, oppure peggio non lo ricordo. Invece erano parole precise, scolpite. Che avrebbero disturbato la nostra normalità.

    Siamo in un sistema di comunicazione che per rispetto del dolore copre i cadaveri di guerra con i lenzuoli bianchi, per non mostrarne il viso. Non esiste offesa più grande. Il lenzuolo bianco dovrebbe coprire la vergogna di chi ha tirato le bombe che hanno prodotto quei cadaveri. I volti sfigurati andrebbero visti, il testo di Wiesel letto nelle scuole, le cose dette senza strategie normalizzanti.

    Ringrazio tutti i ragazzi dello IED per il loro lavoro, uno per uno, tutti disponibili a condividere il loro script con la Rete. Mi hanno sorpreso e insegnato con chiarezza molte cose.

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