Questa volta ci ha sorpresi. Dal mare puoi aspettarti qualsiasi tempo, ma 4 o 5 giorni di nebbia e pioggia confesso che non me li aspettavo. Sembrava di essere nella bergamasca. Freddo umido e pungente, visibilità ai minimi storici. Eppure quando c’è lui è comunque speciale. Perché il mare si muove. Continuamente. In questi giorni sornione ma qualche giorno fa rabbioso e violento.
La signora cammina qualche passo avanti a me. Cresciuta poco in altezza ma ben allargata nel corso degli anni, tondeggia su tacchi piccolissimi e sottili. Peccato non saper riconoscere le firme ma è vestita con un botto di soldi da capo a piedi. Parla con un’amica, più silenziosa di lei. Milanesi. Milanesi sul lungomare. Non è che siano fuori luogo perché non conoscono il mare – questo era vero in un altro tempo. Sono fuori luogo perché non sanno passeggiare.
Un milanese senza meta è una partita di calcio senza porte. Disorientato. E mi chiedo se disorientato perché fuori dal suo contesto abituale o disorientato perché messo all’improvviso a contatto con se stesso, questo sconosciuto se stesso così abilmente nascosto dalla fretta e dalle cadenze affastellate di cui il milanese va fiero presso tutto il resto del Paese. Stress. Marchio di fabbrica, garanzia di qualità.
La mano sinistra della signora sfrucuglia la pellicola del pacchetto di sigarette tra pollice e indice, ripetitiva e anestetica. Parla. Dice di parenti e di lavoro dei figli che ormai sono grandi. Di nuore che non le vanno tanto a genio. E procede sui tacchi. Di quelli piccoli piccoli e sinuosi, con un punto d’appoggio a capocchia di spillo. Si porta dietro, intorno, nelle parole, nei gesti, tutta via della Spiga, tutta via Montenapoleone. Non sono strade: sono elementi di DNA.
Poi vedono qualcosa di particolare sulla spiaggetta sotto la passeggiata. Un guizzo breve del braccio e all’improvviso la mano sinistra si muove in un gesto, prende senso e indica: un tavolo rotto a metà giace sulla riva. Qualcosa che il mare dal profondo ha ributtato nel mondo. Dall’intreccio abissale di alghe e correnti, dalle oscurità tempestose e insondabili l’ha scaraventato sulla riva. I neuroni specchio della milanese si attivano e lei fa altrettanto. Qualcosa brilla nel fondo dei suoi occhi. Qualcosa di non completamente dimenticato. Dagli abissi di Milano, dei vestiti griffati, delle nuore e dei nipoti, dei modi di dire e delle abitudini di una vita.
Da sotto via della Spiga, da sotto la disperante cascata di finzioni di Milano la sua voce esce per un lampo soltanto, candida e pulita, risvegliata e bambina: “Guarda! Cos’ha portato su la mareggiata!” Rimango folgorato: senti che voce avrebbe potuto avere la milanese. Guarda che energia, quanta bellezza sopra quei tacchi. Sono milanese anch’io. E penso come lei: guarda cos’ha portato su la mareggiata.