Fa un freddo illegale. Nel senso che quando fa così freddo dovrebbe essere proibito lavorare fuori casa.  Cittadino modello chi non esce dal proprio letto. Naturalmente siamo tutti illegali e difatti c’è un macello mai visto per la strada. Poi però arrivo nella sede della grande azienda. Incontro i creativi per parlare di scrittura. C’è un bel calduccio, le poltrone morbide, di solito portano anche dei tramezzini con succhi di frutta e biscottini verso metà mattina. Svegliati bello, quest’azienda è una banca. Se non li hanno qui i biscottini…

       Poi la mattinata finisce e torno alla macchina. Salgo, metto in moto. Davanti a me c’è un’aiuola di prato basso. Siamo fuori Milano, vicino ci sono i campi. Intanto che si sbrina il vetro rimango a guardare le foglie secche che oscillano sull’erba. Una attira la mia attenzione perché non si muove in modo congruente alle altre, anche se il colore è identico. A un certo punto è chiaro che si tratta di un animale. Scendo dalla macchina perché è tanto raro trovare forme viventi che non siano cani e gatti. Sarà un topo ? 

       Mi avvicino piano perché vorrei riuscire a vederlo bene  e ho paura che scappi. Quando sono a un paio di metri non ho più dubbi: è un riccio. Appoggio piano i piedi e tuttavia ad ogni impatto con il suolo il riccio sente la vibrazione e si contrae lievemente. Non sembra ferito. Sta semplicemente lì. Lo sfioro con la punta della scarpa perché mi stupisce che stia così fermo, e poi sono tanto curioso di vedere il suo muso. Lui si contrae, diventa una palla tutta aculei. Si muove lentamente. L’ho spaventato, o forse lo era già. 

       E’ poco quel che fa per difendersi ma è evidente che non può far altro. Intravedo il suo piccolo muso: due occhietti neri e un nasino. Mi allontano di un metro e rimango a guardarlo. In tangenziale accendo la radio. Un signore telefona ad una trasmissione di economia. E’ esasperato. Sua madre stava morendo, e lui si è rivolto ad una badante extracomunitaria. Ha voluto assumerla regolarmente. La badante si è presa cura di sua madre finché la madre non si è aggravata ed è stata ricoverata. E’ morta. Nel frattempo la badante e l’uomo si sono innamorati. Sono andati a vivere insieme. Hanno una figlia.

       Il permesso di soggiorno è scaduto. La compagna dell’uomo è in Moldavia con la bambina. Per un problema informatico sulla rete di Milano, la sua richiesta di rinnovo è arrivata in ritardo di 12 ore. Non c’è modo di far rientrare legalmente la donna. La bambina cresce lontano dall’uomo e l’uomo si ritrova completamente solo. Sta facendo di tutto ma pare sia un’impresa poco meno che disperata. 

       Fuori ci sono tre gradi. Quando arrivo a casa vado su google e cerco notizie. Avrei dovuto prenderlo con me. A quest’ora un riccio se è in giro è spacciato. Dovrebbe essere in letargo ma non lo sapevo. Sarebbe stato sufficiente portarlo a qualcuno che ha un piccolo giardino, il riparo caldo è facile da costruire, ci sono anche le istruzioni. Il nostro amico Mauro magari, poco fuori città. Lo avrebbe accolto senz’altro. Ma non lo sapevo. Forse era così lento per questo, per il freddo.  Fa troppo freddo sui prati di Milano adesso, fa troppo freddo in tutta la Moldavia, troppo freddo per le linee internet che si bloccano e non arrivano in tempo.

       Ho imparato che i ricci lasciano la tana del letargo solo se vengono disturbati da qualcosa. L’uomo tenta di spiegare, ma le parole non bastano. Cosa sono una figlia e una moglie lontane non può spiegarlo per telefono. Questione di tane. Forse noi siamo la nostra voglia di casa, di letargo, di parole. Siamo la nostalgia del nostro tempo sereno. Siamo il nostro spavento per la solitudine e la lontananza, siamo gli aculei dentro i quali ci proteggiamo, siamo la fatica di passare l’inverno, siamo i ricci che non abbiamo raccolto. E siamo anche il riccio buttato fuori dal suo giusto riparo. Ma siamo qui. A furia di respirarci addosso, magari il ghiaccio si scioglie.

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  1. Certo che si, qui sarebbe stato il benvenuto e poi con l’aria che torna tiepida l’avremmo lasciato libero di trovate la sua strada, la sua “riccia”. Qualche pomeriggio fa, Caco, il nostro cane, ci ha fatto riconoscere un riccio mimetizzato nelle foglie secche dei giardini comunali, bellissimo animale e molto utile, le bambine lo volevano portare in giardino, gli abbiamo dato un’ora di tempo, se fosse stato ancora lì l’avremmo adottato….non c’era più, il richiamo della “riccia”gli aveva fatto ritrovare la tana o forse proprio lei l’aveva disturbato dal letargo e mandato a comprare i bigodini, giusto in tempo prima della nevicata….gli animali sentono il tempo!

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