… e dopo il desiderio inconscio, che si manifesta gradualmente nella storia attraverso il susseguirsi degli obbiettivi concreti, dopo il nemico, la guerra, lo scontro decisivo e la nascita di un nuovo equilibrio, ecco spuntare l’alba di una nuova coscienza, di una consapevolezza raggiunta grazie alla storia che si è vissuta. Il significato.

    Sembrerà strano a chi ha avuto la sventura di affrontare insieme a me il tema del “messaggio” di una storia, che proprio io rivendichi come tappa fondamentale quella del significato.
Il significato per me è imprescindibile. Intendo per significato il momento in cui un personaggio trae le proprie conclusioni da ciò che ha vissuto. Il momento in cui la sua coscienza si apre a un nuovo livello, a un nuovo valore. La sua coscienza, non la nostra. Il suo valore, non il nostro. La sua idea, non la nostra propaganda di autori dove si voglia schierati.

    Un momento drammatico per chi scrive, che quando capita è sempre così carico di emozione, è vedere il proprio personaggio andarsene verso una strada che non coincide con la nostra, verso un’idea che noi non condividiamo. Perché è libero, e dalla storia che ha vissuto non sa, non può o non vuole trarre le conclusioni che trarremmo noi. Il significato non è in alcun modo il messaggio della storia, ma il raggiungimento di una consapevolezza nuova da parte del personaggio.
E’, quindi, assimilabile a tutti gli effetti ad un’azione drammatica come un’altra. Semplicemente è fondamentale perché ci illumina sul cambiamento ultimo della storia che raccontiamo. La fine che coincide con il fine del percorso, sia esso edificante o degradante.

    Ma l’approdo all’astrazione di un significato dalla sequenza degli eventi e delle emozioni che si sono vissute, è propria di un personaggio perché è propria dell’uomo. Le costellazioni non esistono, esistono solo le stelle. Noi tessiamo linee, alla ricerca disperata di un progetto che leghi insieme i punti sparsi che sono i fatti della nostra vita. Così fa il personaggio, nei suoi più disparati modi e mondi. Così, credo, facciamo noi.
Me ne sono chiesto spesso la ragione. Perché abbiamo così tanto bisogno di senso ?

    Oggi ho solo una piccola, sbiadita risposta parziale, peraltro molto influenzata da ciò che mi dicono i personaggi de “La durezza dell’acqua”, il lungo che sto scrivendo: perché definire un senso, nella misura in cui è possibile, ci aiuta a lenire il dolore di ciò che abbiamo vissuto. Perché il senso di per sé, come si dice, ci avvicina al fine e ci allontana dalla paura della fine.
Ma domani la mia piccola risposta potrebbe essere diversa, anzi lo sarà sicuramente. Perché l’operazione di tentare di capire la compiamo ogni minuto e sempre con esiti diversi. Mi viene in mente Eliot: siamo “nel punto fermo del mondo che ruota”.

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