Fermo al semaforo. In coda con quelli della freccetta verde all’incrocio. E’ un clan: abbiamo quindici secondi per passare, poi riprendono il sopravvento quelli che vanno dritti, poi quelli che arrivano dall’altra strada, poi i pedoni. Una marea di tempo, tutta una pagina politica al GR. Se qualcuno sgarra, si incanta un secondo e non sgomma appena può, viene subissato di clacson più precisi delle parole: ma dove credi di stare ? Bello, torna a letto che non è giornata ! Parti anatomiche, parentele, buona parte del Paradiso vengono convocati tutti insieme dal clan della freccetta, i reietti dell’incrocio.
Grazie al cielo sono secondo, per cui lo sguardo si riposa intorno. E sotto la pioggia passa lenta, senza cappello né ombrello, una ragazza bellissima. Spinge una sedia a rotelle. Seduto c’è qualcuno che non si vede, è ben coperto sotto una mantellina ben chiusa. Non vedo nemmeno la faccia. Però seguo il tragitto, entrano nel cortile della scuola media. Si tratta di un ragazzino, probabilmente. Un futuro tutto da spingere, e chissà cos’altro.
Perché lei era vestita così ? Che modo è di andare in giro sotto l’acqua ? Un maglione marrone chiaro, i capelli lisci castani, i jeans. Lenta e indifferente alla pioggia mentre tutti smoccolano. Mentre la General Motors forse fallisce con conseguenze catastrofiche per le borse, per chi ci ha investito, per chi ci lavora. Penso al libro che sto leggendo: una società comincia quando c’è un’idea di persona. L’idea di persona comincia quando ognuno ritiene di poter fare tutto quel che è nel proprio diritto, e finisce quando ognuno pensa di aver diritto di fare tutto ciò che è in suo potere.
E’ il potere che si inscrive nel diritto, non il contrario. Non ci avevo mai pensato e lo trovo bellissimo. E quella persona spinta sulla carrozzella cosa ne penserà ? E alla General Motors che ne dicono? E questo qui in coda davanti a me, il primo della fila, primus inter pares dei reietti ?
La vita scorre sotto questa pioggia, mi guardo intorno e penso che no, non è come il sole: la pioggia rende Milano ancora più disperante, vince lei. In più questi commenti degli esperti, che tutto sta andando giù, che la borsa è un disastro, tutto questo abuso di potere che si esercita sull’erosione del diritto degli altri… e credo che la chiave della giornata sia lei, la ragazza del maglione che attraversa davanti a me. Semplicemente, da parte a parte, spingendo chi deve verso dove deve andare, con l’inesorabilità e la calma di chi sa che non ci sono alternative. Un passo alla volta. Pioggia o non pioggia. Se piove ci bagniamo. Non ci sono altre strade, ha ragione lei.
Poi la freccetta ridiventa verde. Il tema della mia lezione di oggi allo IED è cambiare il punto di vista. In realtà sono loro che fanno lezione a me. Spesso con le loro domande, più spesso con il modo di ascoltare o di non ascoltare che hanno. Lezione sul punto di vista si fa anche attraversando la strada. Vado, che suonano.
Milano è grigia, triste, cupa. Abbruttita, forse abbruttente.
Eppure non riesco a volerle male, e mi fa male sentire parole di dispregio verso di lei.
Ho molto amato Torino, per ragioni sentimentali, ma anche perché ha saputo affascinarmi.
Sarà stata la presenza del Po e delle Dore, del Parco del Valentino o della Mole, il Museo del Cinema o via Po, la corona di montagne sempre presente all’orizzonte, il castello di Rivoli e la collina di Superga. E ogni volta che mi accorgevo di passeggiare incantata sotto i portici o lungo i fiumi, mi sembrava di tradire Milano, innamorandomi di un’altra città.
Milano sommerge il bello, rende tutto più difficile, appesantisce la vita, la tramuta in uno sforzo che talvolta sembra senza senso. A volte mi sono sentita paradossalmente più leggere a Sarajevo che a Milano, sebbene in taluni luoghi ciò che vedevo potesse essere anche più desolato e desolante.
Forse, però, a Milano sento prepotente la necessità di cambiare ogni volta punto di vista, come dici tu nel tuo scritto. E sforzandomi di farlo, ho visto come questa città sia diversa a seconda di come la guardo, e possa talvolta essere perfino migliore.
Dall’interno di un’auto in coda al semaforo sotto la pioggia può essere terribile, questo è certo.
Epperò… Da via Maestri Campionesi la sera si vede la Madonnina illuminata, l’ho scoperto l’altra settimana tornando dagli allenamenti in bici.
Da casa dei miei si vede la farmacia dove la mia nonna portava il vischio a Natale per ringraziare la dottoressa che era sempre gentile, e si scorge il chiosco dei fiori del signor Giovannino, che ha visto crescere mia madre, me, mia sorella, e chissà se vedrà anche la mia nipotina quasi arrivata.
Ci fermiamo troppo poco a guardare, pensando di aver già visto tutto quel che c’è da vedere.
E, invece, a ogni angolo, a ogni portone, a ogni incrocio… c’è qualcosa o qualcuno che vale la pena di essere ammirato.
Tu sai guardare e raccontare quel che vedi, riesci a rendere bello e interessante ciò che ti accade intorno. In coda alla posta o a un semaforo, sulle sponde di un fiume o davanti a un caffè.
Questo è un potere grande e ogni volta che leggo un tuo racconto te lo invidio.
A.
cara Anna, grazie per essere passata di qui. Che bello il tuo rapporto così stretto con la tua memoria! Familiare a Milano, sentimentale a Torino. Dove sei nata e dove hai amato. Per me figurati che questo luogo è sempre Milano. Mentre tu sei grata alla città perché ci hai vissuto cose importanti, io sento di averle vissute grazie alle persone e nonostante ci fosse Milano intorno. Punti di vista, hai ragione. Ma mi dispiace se ti addolora sentirne parlare male. Se può servire, come sai, adoro Genova, e soprattutto i milanesi che mi guardano strabuzzando gli occhi: “Ma con il traffico che c’è là!” Geniali.
Io venivo dal mare, ero una ragazzina. Milano era quasi solo case, la mia casa, prima, era quasi solo cielo. Sentivo addosso la cappa del grigio, del cemento. Non c’era il ritmico fruscio del risucchio, generato dalle onde che si inseguono una dopo l’altra e cullano i tuoi sogni adolescenti.
Non trovo bella Milano, ma le sono grata. Il bello di Milano è nascosto, non invade l’universo come il mare di Siracusa. Il bello di Milano bisogna coltivarlo dentro, nella penombra di S.Ambrogio, sul loggione della Scala, (dove portavo il mio bambino perché imparasse ad amare la musica), nel chiostro leggero di S.Maria delle Grazie, negli spazi del Castello. Ma quante volte sostiamo in S.Ambrogio? Quante volte passeggiamo al Castello?
Il bello di Milano sono le opportumità che ti offre, gli stimoli che ne ricevi. Oggi è più difficile di una volta, ma credo che i milanesi debbano sforzarsi di recuperare in pieno la vivacità della mente e dell’azione che ha reso grande questa città.
Se ci siamo dentro, anche noi dobbiamo dare una mano.
mi viene in mente un mio compagno di quando frequentavo la scuola del Duomo come cantore della Cappella Musicale. A 19 anni diventa troppo presto papà. Si sposa e va a vivere a Busto Garolfo (!), paese di sua moglie. Dopo pochi mesi lo chiamo per sapere come va e tutto quello che sa dirmi è: “mi manca il traffico di Milano!! Tutto quello che vorrei ora è di trovarmi imbottigliato nell’ora di punta più devastante!!”. Dopo un anno, mentre si recava, in un rigido inverno, a lavorare nella fabbrica di quel paese, in bici, ha mollato la bicicletta, la moglie e non è più tornato a casa..è tornato a Milano! Ora fa il pittore..
gigi