Alla fine la cosa che ci diverte di più è riparlarne.  Di tutto, intendo. Sia dei drammi che delle cose più divertenti della vita. Siamo curiosi di come l’hanno vista gli altri e ansiosi di dire la nostra. Eppure i fatti erano quelli per tutti. I meri avvenimenti stavano lì davanti a noi in tutta la loro chiarezza. In tutta la loro… chiarezza ?

       La cosa bella del riparlarne è che in realtà ognuno di noi può riscrivere i fatti. La vita può essere ricostruita dentro di noi. E’ interattiva, in questo senso. Abbiamo un flusso di eventi davanti agli occhi, scriviamo una storia assolutamente privata dentro di noi. Significa che non tutto è così chiaro. Che c’è lo spazio per interpretare. Quello che probabilmente noi difendiamo come spazio della nostra libertà.

       Finché si tratta della vita siamo tutti d’accordo, credo: ognuno di noi la riscrive come vuole e come può.  Ma se prendiamo una storia le cose cambiano. Perché invece da una storia siamo stati abituati a chiedere chiarezza. Non capire ci infastidisce e ci irrita,  e la cultura del messaggio impera soprattutto nelle scuole. Che messaggio vuole mandare l’autore… non è altro che l’ansia della professoressa di squartare, spalancare le interiora di un testo o di un film nel tentativo di non lasciare dubbi, di dominarlo, di prenderne un possesso intellettuale per cui finalmente l’abbiamo contenuto nella nostra lettura.

        Questo credo tolga alla storia e al film – anche alla vita penso… – una delle loro migliori proprietà: quella di essere capiti man mano. La possibilità per noi di rileggere la nostra rilettura delle cose, di tornare sulle interpretazioni che avevamo dato, di riscrivere la riscrittura. La chiarezza totale e assoluta della comunicazione  dei fatti e delle storie è quella che possiamo ammirare su tutte le reti nazionali, che siano fiction o telegiornali (c’è differenza ?). Verità semplificate ad uso spiccio e immediato, talmente chiare da non aver bisogno di alcun vaglio e soprattutto da non consentire nessuna rilettura o riscrittura interiore.

       Liberi di capire quello che viene detto, non di non capirlo. Non di tornare ad interrogarci ancora e ancora su quello che ci viene presentato. Dipende anche da noi. La chiarezza semplificata è spesso quello che ci hanno abituati a chiedere agli altri e a noi stessi. Non conviviamo con il dubbio, con la parte in ombra, con la difficoltà di interpretazione dei fatti.  Per questo penso che quando si fa un film – sia quando lo si scrive che quando lo si gira – sia un atto di rispetto non spiegare tutto. Consentire al pubblico quello che la vita consente sempre: che ognuno se ne vada con la propria riscrittura del nostro film. Che ognuno ce lo possa rispiegare. Che possiamo essere noi ad impararlo dagli altri.

       Questa paura della lettura altrui ci toglie una delle scoperte più belle dello scrivere: che in realtà raccontiamo storie che non conosciamo a persone che le conoscono…

 

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