Proseguo il percorso all’interno del saggio di Maria Teresa Russo, Oltre il Presente Liquido, con un frammento del contributo di Gabriella Cotta, Docente di Filosofia Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma.
“In realtà il relativismo culturale, al contrario di quanto professa, si situa in una ben precisa opzione filosofica, che viene difesa strenuamente, a dispetto del proprio presupposto di totale apertura, non accettando altro che posizioni che condividano i propri presupposti teoretici individualistici e autoreferenziali ai quali, solo, riconosce dignità. Ciò che non ha e non avrà mai, in quest’ottica, pari dignità, è la posizione filosofica metafisica che a questa visione si oppone radicalmente.
Il relativismo culturale, che da una parte rischia di polverizzare ogni regola comportamentale, proponendo prospettive etiche deboli, frutto sempre negoziabile di accordi occasionali, dall’altra, si presenta in modo affatto intollerante e non rispettoso della differenza altrui, non ammettendo opposizioni filosofiche e culturali diverse dalla propria. Nell’affermazione della libertà più vasta possibile del desiderio, che è il luogo che ci individua nel nostro particolarismo più radicale, non c’è posto per uomini che leggano se stessi nell’ottica della propria relazione costitutiva con Dio o con l’essere. Ma a questo punto, neppure con l’altro.
La tutela della libertà e il riconoscimento del valore dell’individuo sono un vanto della nostra civiltà, ma lo sono finché si pongono in una relazione con Altro – sia esso Dio o l’essere – rispetto a cui tutti riconoscono somiglianza, partecipazione o debito. Solo nel rinvio a un terzo che fonda l’uguaglianza tra individui e, contemporaneamente, la particolarità di ognuno, è possibile la convivenza relazionale e non la mera composizione di interessi.
Nel momento in cui libertà e individualità perdono ogni radicamento fuori di sé, espungendone ogni possibilità dalla propria costituzione ontologica, si gettano le basi – sotto la parvenza dell’affermazione della più ampia libertà – dell’incomprensione completa di chi non è come noi, e si creano le basi di sentimenti di intolleranza verso chi rifiuta l’infinito caleidoscopio di un molteplice indifferenziato ed autoreferenziale come luogo del vivere e dell’essere.”
Il rinvio a un terzo che fonda l’uguaglianza, dice la Professoressa Gabriella Cotta. Non riesco a togliermi dalla testa questo pensiero. Perché questo terzo che non siamo né tu né io è qualcosa che stabiliamo insieme o è qualcosa nel quale ci troviamo immersi ? La tua versione di questo mondo è semplicemente una versione diversa dalla mia o – come direbbe Bruner – ognuno di noi crea il mondo in cui vive e ne ha la versione più ragionevole, che differisce dalle altre non perché sia diversa ma perché pertiene a un mondo diverso ?
Per quanto ci riguarda, si tratta di capire se le riflessioni di Gabriella Cotta e di Paola Ricci Sindoni ci aiutano ad arricchire la nostra consapevolezza di narratori di storie. Per ora mi rigiro nella mente questo terzo che fonda l’uguaglianza…
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