Man mano che invecchio mi rendo conto che raccontare storie non può prescindere dalla percezione del contesto in cui le si racconta. Così quando incappo in un testo che mi dà uno sguardo forte sul momento che passa, sono sempre felice e lo condivido volentieri. Quello che cito è un intervento di Paola Ricci Sindoni, professore ordinario di Filosofia morale nella facoltà di Lettere dell’Università di Messina. Nella foto, Hannah Arendt, di cui Paola Ricci Sindoni parla nell’estratto.

       “Il vero pericolo nascosto, e per questo più subdolo e insidioso all’interno delle attuali dinamiche del vivere sociale, è individuabile, secondo Hannah Arendt, nel collasso delle capacità umane di “giudicare”, nel rifiuto cioè delle persone di operare una valutazione critica della politica dentro lo spazio aperto del discernimento morale. Tale deficit – a suo avviso – finisce con il condurre verso il grande male oscuro dell’indifferenza, della progressiva perdita di assunzione di responsabilità per la porzione di mondo in cui si vive.

        Di fronte a questo vuoto sociale sembra oggi imporsi perfidamente non tanto il totalitarismo ideologico, come ai tempi di Hannah, quanto la legge ossessiva del mercato. Incapaci di affrontare le sfide e i problemi, che sorgono dai difficili rapporti sociali, donne e uomini si rivolgono ai beni mercantili, ai servizi e ai pareri degli esperti; si affidano ai mezzi prodotti in serie, per riempire i loro corpi di “personalità” socialmente significative, di consigli medici e psichiatrici per guarire le ferite lasciate da precedenti e future sconfitte, di agenzie di viaggio per scappare in luoghi inconsueti, che si spera possano fornire circostanze più adatte alla soluzione di problemi consueti.

       In questa perdita di vigore antropologico si assiste impotenti alla colonizzazione del futuro, così che le spinte utopistiche, così necessarie alla gestione della pratica politica sembrano ormai spente o tutt’al più collocate nell’alveo più sicuro della mera concertazione economica e finanziaria. La nostra era ha divorato la genuina anima dell’utopia, di progetti capaci di farci orientare realisticamente, ma anche idealmente il nostro futuro; siamo immersi purtroppo nell’epoca del collasso, dell’appiattimento, dello stordimento.

       In un contesto analogo, reso ancor più drammatico dall’insorgere del nazismo, l’allora giovane Hannah matura la sua passione per la politica, intesa come amor mundi, amore del mondo, al cui interno la capacità di iniziare relazioni significative improntate alla novità, sembra costituirne il segreto più fecondo.”

       Il testo da cui traggo queste righe è inserito nella raccolta di saggi: Oltre il presente liquido, a cura di Maria Teresa Russo. Tornerò sia su questo volume che sui temi che solleva. Mi sembra bello, per ora, lasciar risuonare le parole di Paola Ricci Sindoni.

0 risposte

  1. Ieri ho accompagnato un bambino (Samuele) a Brera, ha sostato davanti alle due “Cene di Emmaus” del Caravaggio (una proveniente da Londra) attualmente affiancate. Penso abbia avvertito l’emozione dell’autore che ha fissato sulla tela, usando mani e pennelli, l’attimo in cui Gesù si rivela “nello spezzare del pane”, la sorpresa e l’esultanza dei discepoli increduli. Un gioco di luci e di ombre, un mistero svelato e nascosto. Penso all’intensità di quelle immagini, alla loro capacità di trasmettere “senso” e alle miriadi di immagini che invadono il nostro mondo. Come selezionare, come chiudere gli occhi al superfluo? Come ridurre il peso dell’interferenza del mezzo tecnico, tra noi e la comunicazione? Come far rivivere in noi l’emozione capace di ridurre lo spessore dei parametri economici e tecnici che ci imprigionano? L'”amor mundi” du Hannah può aiutarci.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *