Fa molto freddo, abbiamo poco tempo e dobbiamo parlare. La logica con cui si sceglie un posto in cui andare a mangiare cambia anche solo per la temperatura. Poi sì, naturalmente c’è lui: il problema. Costa tutto troppo. Siamo in quattro e stiamo lavorando alle riprese della docu-fiction nella quale ci siamo buttati. Allora, dove si mangia. A casa di uno di noi, take away. Così togliamo il coperto. Posto vicino, se no arriva tutto gelato. Non c’è molto da scegliere in zona: kebab. Non per prendere il kebab ma per prendere una pizza e portarla subito via.

Il posto è fetido. Non vogliamo riflettere sulle materie prime. Sono tre ragazzi giovanissimi, tre turchi da quel che capiamo. Mentre siamo lì arriva un ragazzo italiano che deve consegnare una pizza. Tre ragazzi turchi che danno lavoro a un ragazzo italiano. Sono gentilissimi e ci chiedono cosa vogliamo. Stratega luminoso e acuto, scelgo un calzone perché sicuramente regge meglio il freddo dell’esterno. Più precisamente il calzone faraone. Mozzarella di bufala prosciutto e pomodoro. Stiamo a vedere.

Passa qualche minuto. All’interno l’odore fortissimo di kebab, di aglio e di spezie pesanti è ormai penetrato anche nell’intonaco, immagino che stia raggiungendo le tubazioni dell’acqua e del gas. Ma… è molto ben compensato dal caldo. E stiamo a parlare lì, in cerchio, commentando a bassa voce il luogo e le nostre scelte. Pare che io abbia fatto un errore: la mozzarella di bufala non va mai presa dove le materie prime sono verosimilmente scadenti, perché in caso non sia buona ti fa stare malissimo. Più che quattro filmaker sembriamo un consesso di gastroenterologi scappati di casa.

Il ragazzo ci chiede nuovamente cosa abbiamo scelto. Si scusa, hanno sbagliato e ci chiedono di attendere ancora. A questo punto uno dei tre giovanissimi dice: “Sentite ragazzi, che ne dite se apriamo una birra e ce la beviamo insieme?” Parte un grazie generale, aprono la birra prendono i bicchieri di carta, ci servono e si servono. Ci stanno chiedendo scusa per il disguido. Noi sorridiamo, ringraziamo, ma commettiamo un errore del quale mi rendo conto solo ripensando la scena dall’alto, come mi capita spesso di fare – sapessi il perché.

Non apriamo il nostro cerchio. Rimaniamo tra noi a bere la birra. E loro vicini al banco. La nostra testa è pronta per la globalità molto più della nostra pancia. Certe cose non ci vengono spontanee. Siamo ancora un cerchio chiuso. Siamo disposti a convivere con questi ragazzi turchi ma non abbiamo ancora capito molto del vivere insieme. Il cinema era lì in fianco a noi e non l’abbiamo visto.

Poi arrivano le pizze e il calzone faraone. 25,50 euro con una birra doppia in omaggio e una comprata. Accettano i buoni pasto. Usciamo, attraversiamo i pochi metri prima di infilarci nel portone. Eccoci seduti a casa: buon appetito. Il calzone faraone è tecnicamente immangiabile. Okay, non sono bravissimi e spero che la storia della bufala sia una bufala. Se dovesse capitare a qualcuno di fare la stessa scelta, consiglio di munirsi di cannuccia o di carta assorbente per smaltire i liquidi.

No, con la pizza non ci siamo proprio. Ma questo menù costa di più di quel che paga un parlamentare per mangiare a mezzogiorno. Il branzino al sale mi risultava a 3,50, vuoi mettere.  E’ giusto che questa robaccia costi di più perché vale di più. Là c’è un abuso vero e proprio, qui la costruzione di un futuro che parte da un negozietto fetido con l’odore che ti trapassa e le materie prime scadenti. Ma non è lì che bisogna guardare. E’ nel loro sorriso, nella birra che ti hanno offerto, nella determinazione di farcela e di restare in piedi, nel prezzo comunque più abbordabile della pizzeria vicino, nella quantità di prospettiva e di futuro che esce dai loro sguardi. Non puoi non riconoscere che è esattamente da qui che ripartiremo.

In tutto questo crollo si salvano la semplicità, la tenacia e la cortesia. Noi stiamo scivolando, loro stanno già ricostruendo. Danno lavoro a un ragazzo italiano e questo è uno sconvolgimento della bussola che non ci deve sorprendere: non si tratta di comunitari o di extracomunitari. Loro sanno cos’è vivere rasoterra, lo accettano, partono da zero. Mente libera, fatica da morire e gioia di vivere. Quando sai navigare in così poca acqua la crisi non ti fa granché. Per te resta tutto come prima, anzi – siccome costi poco – forse aumentano i clienti.

Notte, mi infilo nel letto. E penso a noi che non apriamo il nostro cerchio, al calzone faraone che fa schifo, al sorriso dei turchi e al futuro. E me lo chiedo davvero: riuscirò a digerire tutto questo?

0 risposte

  1. Giò, ma tu da un kebabbaro turco ti pigli un calzone con la bufala!?!?
    Ma santa polenta (appunto)… è come, al contrario, prendere un kebab in un ristorante gestito da un valtellinese… Fidati del Kebap, è meglio!
    🙂
    Ahahahahahahahahah! Baci!

  2. Ho visto tuo figlio Samuele divorare un kebab enorme fatto da turchi stazionati in Germania. Samuele è sopravvissuto benissimo, nonostante i miei timori…Il cerchio si allarga a tavola…con fiducia e un po’ di incoscienza; ma noi occidentali razionali e igienici facciamo fatica a condividere. Come insegnare a fare un calzone decente e intanto apprezzare un kebab macroscopico?

  3. Molto bello. E’ proprio quello che adoro leggere (e scrivere, quando ci riesco): piccoli episodi legati al quotidiano che spiegano molto di quello che viviamo.
    Anche io ho un negozio di kebab gestito da tre ragazzi turchi, proprio vicino a casa. Sono gentili, disponibili e hanno prezzi onesti.
    Viaggiando molto mi ero sempre chiesto come mai all’estero si potesse mangiare fuori con pochi soldi e da noi era sempre un salasso. Gli stranieri hanno portato una nuova mentalità: si può cenare fuori casa con 5/10€ a testa, a volta anche in locali carini. Penso che i nostri ristoratori da 50€ a cranio non siano molto contenti ma….che dire…hanno avuto i loro periodi di vacche grasse….
    Tutto questo mi ha anche fatto ripensare al nostro rapporto con chi è diverso, al confronto con le nostre paure; pensavamo portassero solo sporcizia e delinquenza, in molti quartieri della mia città stanno dimostrando che non è così, lavorando duramente e pagando le tasse.

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