Scrivere un film è un percorso lungo, a volte lunghissimo. Nel mio caso l’autunno che verrà farà scoccare il terzo anno. Ci sono momenti in cui non si vede proprio dove si sta andando, e momenti in cui si pensa che tutto il progetto sia sbagliato. Insomma, è un po’ la stessa cosa che capita nella vita. Rimugini, ripensi, ridiscuti. Lasci stare. Poi riprendi. E una delle fasi più costose in termini di fatica e di tempo, è il fatidico terzo atto. Perché è l’ultimo, e se un discorso è inconcludente lo si capisce alla sua conclusione. La chiusura sta lì e ti guarda e ti tiene sotto tiro e in perenne scacco. Ma tu che volevi dire ? Tu che sei avversario dei messaggi, che l’hai raccontata a fare questa storia ?

     Allora se sei fortunato trovi dei compagni che ti sorreggono in questo percorso. Con i quali condividi alcuni tratti del tuo lavoro e che ti aiutano a capire dove ti trovi. Da questo punto di vista sono sempre stato molto fortunato. Storicamente è così: ho sempre avuto compagni di viaggio eccellenti. Ho lasciato aperta la porta della mia cabina di pilotaggio, e ho ricevuto le visite fondamentali di una serie di persone con una testa e un cuore così.

    Questo viaggio è arrivato al terzo atto in compagnia di Sabrina. Sabrina è forse la persona di maggior talento che io abbia mai conosciuto direttamente. Impressionante. I nostri conflitti a fuoco sui personaggi mi lasciano sempre qualcosa di nuovo nell’osservazione del panorama. E la legge che ci guida è molto semplice e per niente facile: ascoltare e dire la verità.

    Bene. Ma quello che è successo l’altro giorno è da festeggiare. Qualunque sia il valore del film: è da festeggiare perché rappresenta l’arrivo di un percorso. Da molto tempo giravo confusamente con la sequenza degli eventi che avrebbero strutturato il terzo atto da un lato, e i suoi problemi di proporzione dall’altro. Perché scrivere è come costruire un arco. Se le diverse pietre che lo compongono sono troppo rade, l’arco crolla perché manca contatto tra una pietra e l’altra. Se viceversa le pietre sono troppe o troppo pesanti, l’arco crolla per eccesso di peso. E’ un equilibrio. Un delicato, emozionante equilibrio che dipana gli eventi nell’arco del tempo narrativo, consentendogli di essere preparati e di risuonare dentro di noi.

    L’altro giorno, sfinito dalle perplessità, rimetto in fila la sequenza, modificata, alterata, limata. Poi dopo una pausa ripercorro tutto il terzo atto. E sta su. Sta su…. sospeso sul mondo con una leggerezza improvvisa. Sì, le obiezioni di Sabrina erano corrette, il coraggio di non accontentarsi era giusto. Ora rimane da rimettere a posto un po’ qua e là ma… possiamo dirlo: l’arco è teso e rimane in piedi.

    Quanto vale questo film ? Non lo so assolutamente. Ma non è di questo che si sta parlando. Si è quasi compiuto un lungo, intenso, faticoso percorso. Si è estratta da dentro una storia che ribolliva in profondità, e come sempre si è capito qualcosa in più di noi stessi. Questo, è precisamente ciò che intendo per successo.

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  1. Terzo atto. Il terzo atto di un film è la conclusione, o dovrebbe essere la conclusione di una storia. Poi c’è la vita. Per me che ho appena compiuto settant’anni il terzo atto è cominciato e non so quanto sarà lungo. Ma è una conclusione? In che senso? Me lo sono chiesto tra le pieghe delle attività spicciole delle giornate che si susseguono tutte uguali, o quasi. Il terzo atto permette di vedere tutto o quasi il percorso dell’arcobaleno…ma se ne capisce qualcosa di più? Quando ci siamo sposati e siamo partiti per il viaggio di nozze, aveva piovuto e due archi paralleli solcavano il cielo sull’autostrada, la macchina sembrava volerli raggiungre e loro si allontanavano sempre più sull’orizzonte. Ci è parso un buon auspicio. Dopo una vita attraversata da prove non indifferenti entravamo in una seconda fase: il nostro incontro, i figli, il lavoro che è andato bene, gli interessi miei, arruffati ma sempre presenti. Poi i figli sono partiti e siamo entrati piano piano nella terza e forse quarta fase. La tentazione è di guardare indietro, e invece no. Guardare indietro si può, ma non per condannarsi o per assolversi, solo per conoscere di più. Abbiamo fatto errori nell’educare i figli, ma sono convinta che gli errori dei genitori conrtibuiscono alla costruzione di una personalità non solo distruggendola, anche forgiandola alle difficoltà che ci saranno nella vita.
    Ora il mio presente sono i nipoti più piccoli, per loro vorrei essere un ricordo di dolcezza, una favola vera che contiene la sapienza distaccata e consapevole dell’anziano. Un fondo di tenerezza, nell’esperienza adulta dell’ex-bambino, può aiutare ad avere uno sguardo più benevolo sulla vita, a ravvivare i colori di un arcobaleno che potrebbe annebbiarsi. E’ presunzione? Forse sì. Ma la presunzione è un grande stimolo ad agire (cercando di non strafare).
    Vorrei offrire ai bambini la sintesi del mio arcobaleno: anche le cose più tristi (la morte di mamma Marisa), le cose più duramente avversate (il mio matrimonio con un vedovo padre di tre bambini), le cose più ingiuste (il “licneziamento” ,si fa per dire, di Luigi nel pieno del suo lavoro), e tante altri fatti che potrei citare contribiscono a costruire un arcobaleno al quale noi, con l’aiuto di Dio, diamo forma e colore. Ci saranno pnti oscuri, macchie solari alla Galileo, ma l’insieme sarà armonia, fino all’ultimo giorno.

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