Pomeriggio. In auto verso la periferia, la tangenziale completamente libera, e la trasmissione di Fiorello alla radio. Parla del Festival di Cannes. Racconta della presentazione sul Corriere della Sera dell’ultimo film di Abel Ferrara. C’è una foto, pare, che ritrae Asia Argento seminuda che bacia con la lingua un cane.
L’ironia di Fiorello è tagliente e leggera, non cade nella trappola fin troppo evidente del moralismo e della retorica sul buon gusto. Gioca, e inventa una magistrale telefonata dallo studio radiofonico al cane. Gli viene chiesto di raccontare del film, e il cane risponde che il bacio non era previsto, che se lo avesse saputo non si sarebbe presentato, e che ha chiesto subito ad Asia Argento se fosse almeno sverminata. Lui, in realtà, dice di essere fidanzato con Stefania Rocca.
Non ho visto il film di Abel Ferrara, e non ne so nulla. Non è questo che mi preoccupa. Ma il fatto che qualunque valore abbia quel film, tutto quello che moltissima gente ne saprà sarà solo questa foto sul Corriere della Sera. Che messa così, fuori contesto, fuori senso, per forza non potrà avere nulla del significato che Ferrara avrà voluto darle.
Cos’è che non funziona ? Il film di Ferrara ? Il Corriere della Sera ? Entrambe le cose ? Non so, è troppo complicato forse, ma la verità è che non ho più nessuna voglia di pensarci. Tentare di decifrare l’intrico è quasi fare il suo gioco. Alla fine arrivi, dopo tanto che ci stai dentro, al desiderio di una comunicazione limpida, semplice, vera. E di nient’altro. Forse questo è il modo migliore di combattere questo sistema che porta chi legge il Corriere ad essere disgustato del cinema, chi ha fatto il film ad essere disgustato del Corriere, e tutti quanti felici per aver sollevato una “provocazione”.
Sera. In poltrona. Il Milan vince la Coppa dei Campioni. Il telecronista commenta le immagini di questi uomini in mutande che hanno corso dietro a un pallone e dice: “Questa è un’impresa riservata ai grandi uomini”. Giada sonnecchia sul divano e viene quasi risvegliata dall’enormità. Scandisce: “Un’impresa riservata ai grandi uomini. Ma ci rendiamo conto ?”
I narratori dovrebbero cercare, ritrovare, ridefinire i punti di riferimento di una civiltà. Dovrebbero farlo continuamente. Produrre delle opere per questi giorni. No, Giada. Non ci rendiamo conto.
Sulla prima parte sono pienamente d’accordo, ma non è questione di Corriere o altro quotidiano: il film “Profumo” tratto dal romanzo di Suskind è stato pubblicizzato come “la storia di un assassino,” giusto per colpire, per fare cassetta, ma la storia non ha niente a che fare con il vero contenuto. nè con il suo significato. E’ sempre così.
Sulla seconda ti racconto un fatto vero: un mio amico, acuto e apprezzato ricercatore nel campo della fisica, ha dovuto abbandonare quel lavoro alla nascita del secondo figlio: non ce la faceva a mantenere la famiglia. Ma i “grandi uomini” sono quelli che, in mutande, rincorrono un pallone. Non pensiamo a noi, ma al nostro ruolo di genitori verso i nostri figli. perché sappiano discernere e fare le loro scelte. Che facciano i calciatori e le veline, naturalmente!