Non l’ho mai trovato nei manuali di regia, e nemmeno in quelli di sceneggiatura. Ma l’ho sempre sperimentato e ultimamente mi sembra di vederlo in un modo più intenso, grazie anche ad alcuni film che mi hanno aiutato a capirlo. Parlo di un terzo tempo, che si infila tra quello diegetico (la durata vera della vicenda) e quello narrativo (la durata del film). E’ il tempo narrante. Il tuo, quello che scorre al ritmo in cui lo senti scorrere dentro di te.
Sarà banale. Perché ognuno di noi ha sperimentato questo. La primavera sboccia per tutti ma negli occhi di un anziano è diversa che negli occhi di un bambino. Detta banalmente: c’è un momento in cui smetti di guardare il fiume dalla parte dell’acqua che viene e cominci a guardarlo dalla parte dell’acqua che va. Il terzo tempo non è molto diverso, si tratta della tua percezione interiore del tempo che passa. Nessuno schema prefissato. Ci sono anziani che hanno negli occhi molto più futuro di molti giovani. Se ci fossero solo categorie sarebbe inutile scrivere storie.
Ora, siccome raccontare una storia significa accompagnare il pubblico per mano all’interno di un viaggio, tutto ciò che il pubblico vedrà e sperimenterà non sarà la realtà oggettiva, ma il nostro sguardo su quella realtà. Per questo il terzo tempo è importante. Perché sarà il tempo percepito, un po’ come fa l’umidità con il caldo in estate. Non si comunica più solo la temperatura oggettiva perché persino i meteorologi hanno capito che il mero dato è abbastanza inutile se scisso dall’esperienza profonda che io ne faccio.
Credo insomma che nel racconto ci stia questo tempo in più, un tempo fuori dal film, fuori dalla vita normale. Una specie di “avanzo” lasciato lì a testimoniare qualcosa. Per essere concreto mi spiego meglio. Antonioni praticava la sfinimento del personaggio. Si trattava in sostanza di continuare a girare alla fine di ogni scena, senza dare lo stop quando le battute erano finite. Cercava di capire che cosa ne fosse dei suoi personaggi quando le loro vite non erano più sotto il controllo degli autori e della produzione. Qualcosa di autentico, da “rapire” alla vita per poterlo testimoniare.
Ci sono alcuni grandissimi registi che rimangono come in cerca, in ascolto di questo tempo interiore: Aki Kaurismaki, Manoel De Olivera, Atom Egoyan, Kim Ki-Duk. Ma questo ascolto profondo del tempo dentro di noi è anche caratteristica di alcuni giovani, esordienti o appena esorditi: Marina Spada, Vittorio Moroni, Samantha Casella, Andrea Caccia.
Vanto la fortuna, questi, di conoscerli tutti personalmente. Gente schiva, mai facile, mai scontata. Tutti concentrati sull’esperienza quotidiana e profonda della vita, e sulle strade più rischiose e forti per poterla comunicare. Gente con uno sguardo sulle cose e uno sempre rivolto agli altri, a quelli che sono i destinatari del nostro lavoro di narratori.
E’ un punto su cui mi riprometto di tornare presto, una prospettiva nuova nel mio incerto percorso…
un GRAZIE tutto maiuscolo!
Letto, stampato, domani porterò questo articolo all’incontro con i miei amici scribacchini.
Aspetto il seguito.
Ciao, Adri