Con i pasticceri sono sempre stato fortunato. Quello del mare e quello di città. Splendidi entrambi. Entrambi chiacchieroni e vivaci, appassionati. Passo per prendere una piccola torta pere e cioccolato, come il gusto dominante di casa comanda. Quando lavoravo con i tossicodipendenti avevo nel gruppo una ragazza che mangiava quasi solo cioccolato. Mi viene in mente che era fatta degli stessi ingredienti della piccola torta.

Stasera il Gianni me la consegna con qualche raccomandazione ulteriore: Mi raccomando, subito in frigo perché questa ha mezz’ora di vita.  Di colpo mi rendo conto di tenere fra le mani una creatura vera e propria – però: mezz’ora di vita ed è già piena di pere… (lo penso e basta). Ricaccio il pensiero corrosivo dietro una rassicurante banalità: “Wow che meraviglia, più fresca di così! O ha mezz’ora di vita nel senso che scade fra mezz’ora?” Ma il Gianni mi sorprende: “Appena fatta! Sì, solo che non è mica una buona cosa sai? Sarebbe meglio se fosse stata fatta ieri.” Questa me la deve spiegare, chiedo lumi e li ricevo. “E’ perché tu prendi la frutta e la cuoci, no? E quando la cuoci stai già aggredendo l’ingrediente, capito?” Rimango folgorato: aggredire l’ingrediente. Non vedo l’ora di metterlo in un dialogo, ma ho un piccolo problema: non ho capito che significa.

“Che tu lo vai a cuocere o a trattare, l’ingrediente non è più se stesso, capito? Quindi dopo che succede? Che tu lo unisci agli altri ingredienti e prepari il dolce, no? E allora lui si ritrova lì impastato insieme a tutti gli altri, che però anche loro sono modificati, chiaro? Vabbè, diciamo che la torta è pronta. Ma adesso gli ingredienti si devono come conoscere, no? Devono tutti conoscersi per funzionare bene. Per questo che la pastasciutta con un condimento importante è sempre migliore il giorno dopo. Se vieni qui a comprarmi il panettone a Natale, io ti dico di venire a prenderlo a novembre, tra dieci giorni. Perché se se ne sta lì un mese ed è correttamente conservato non ha paragone con un panettone appena fatto.”

“Si devono conoscere..” faccio io rapito.

Il Gianni è quasi stupito del mio interesse e si entusiasma, d’altra parte sono incantato da tanta saggezza e dalla semplicità con cui capisce i meccanismi della vita preparando dolci. “Sì cioè adesso ti faccio un altro esempio: prendi il lievito. Tu lo sai cosa sono gli enzimi?” – Annuisco sperando che non mi chieda niente di preciso – “Ecco, allora: quando tu metti il lievito nella pasta che succede? C’è il grande trombamento, no? Gli enzimi trombano tutti, si moltiplicano velocemente e aumentano il volume. Ma se tu non gli dai nemmeno il tempo di trombare, di conoscersi, non è che possono aumentare di volume”.

Meraviglioso. Oltretutto gli enzimi sono molto più romantici di noi: per trombare devono prima conoscersi.

Mentre torno a casa con la creatura fatta di pere e cioccolato penso a questo tempo d’attesa, quando il Gianni ha finito il suo lavoro. Attendere che le cose vadano insieme, che si cedano reciprocamente le proprietà: aromi, sapori, essenze. Perché quell’insieme di ingredienti diventi un dolce. L’ultimo lavoro lo fa da solo. Qualcosa di vivo, un passo ancora, una vera e propria identità che si deve formare. E nessun tipo di pasticcere può farlo al posto suo. Saper aspettare, saper vedere negli elementi disgregati di un ragazzo l’unità profonda dell’uomo che diventerà.

Saperlo vedere dentro di me. Nella guerra tra le mie diverse parti, talvolta senza quartiere. Lasciare che i conflitti interni abbiano tempo di trovare un equilibrio, un’identità. Vivere quello che oggi ancora è disgregato e dissonante come qualcosa che si sta preparando in prospettiva secondo un principio di unità che ancora non vedo. Tempo per fare di posate, tovaglioli e piatti sparsi nei cassetti e sulle mensole di una cucina, l’unità di una tavola apparecchiata. Mah, ora non so Sabato come finirà quando come sempre farò la pizza. Farina, acqua, olio, un pizzico di sale. Lievito. Sarò rapido e discreto, poserò da una parte la pignatta – piccolo bordello da cucina – e glie lo dirò sottovoce: sentite io adesso mi allontano, voi fate pure indisturbati. Ci vediamo a cena…

0 risposte

  1. Scrivere alle 4,40? Potrebbe essere l’ora in cui, nel sonno, gli elementi si fondono e creano equilibrio. Comunque un pezzetto di quella torta la conservi anche per noi?

  2. Trovo semplicemente meraviglioso questo post!
    Un capolavoro di saggezza, ironia, natura e vita!
    Anche tu hai mescolato bene gli ingredienti per questo pezzo.
    Mi è venuta in mente la stessa cosa per il vino: non è buono appena fatto (se non in rari casi), ma bisogna lasciarlo “invecchiare”, poi in casa si apre un po’ prima, per farlo “respirare”.
    Già dai vocaboli che usiamo si vede come si tratta realmente di una cosa viva.
    Che belli i lavori “umili”, che poi umili non lo sono affatto!

  3. “La musica è da rifare, subito!!” Per vent’anni, così…come un trapano nelle orecchie. Se invece avessi aspettato..sedimentato..

    p.s.: io la pizza incomincio a farla il sabato sera, per la domenica sera…

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