“Agli inizi c’è l’inferno. Mi sembra che la storia di una scrittura cominci sempre dall’inferno. Come la storia di una vita. Dapprima nell’inferno dell’io, nel caos primordiale primitivo che è il nostro, queste tenebre nelle quali ci dibattiamo quando siamo giovani e nelle quali anche noi ci costruiamo. Quando si esce da questo inferno, che sia semplicemente l’inferno dell’inconscio, o che sia l’inferno reale, è il paradiso. Ma, che cos’è il Paradiso ?  

    L’inferno è molto più facile da descrivere, da dipingere, come si sa da Dante in poi. L’inferno è l’incomprensione, è il mistero temibile, è anche il sentimento demoniaco di non essere niente, di non controllare niente, di essere nell’informe, di essere infimi dinanzi all’immenso. E anche di essere cattivi e talvolta perfino malvagi. La nostra cattiveria è uno dei temi vertiginosi che aprono lo spazio della scrittura.

    Si scrive per uscire da questo inferno in direzione del giorno nascosto. Si scrive verso ciò che si avvererà essere infine il presente. Il paradiso è questo, è riuscire a vivere il presente. E’ accettare il presente che avviene, nel suo mistero, nella sua fragilità. E’ accettare di non controllare, di sapere che il presente passa, ma è bene che passi, perché passa presente; è sapere passare dall’angoscia allo sbalordimento e fare dell’incomprensibile la fonte di meraviglia, è amare la notte, non temerla, trattarla come un giorno stellato.

 

    Ma questo rappresenta un lavoro, un duro lavoro, che quando siamo ancora molto giovani, non sappiamo nemmeno pensare. E’ un grande lavoro vivere l’istante, questo domanda una rapidità d’animo e nello stesso tempo una grande lentezza. Ecco perché mi è capitato di dire: “Il paradiso è infernale”. Non è il riposo, ma l’accanimento, lo sforzo incessante per essere là, il confronto con la ricchezza travolgente del “c’è” dell’Es gibt.

    A un certo punto si può sperare di giungere all’epoca in cui si scrive non per mettere una croce sul passato, ma per diventare profeti del presente. A quel punto si deve fare il paradiso, lo si fa. Non ci è dato. Si rischia di perderlo, lo si vince di nuovo in continuazione.

 

Hélène Cixous, “Il teatro del cuore” 

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