“Si è sovente osservato che l’arte e il pensiero moderni sono difficili (…) e partendo da questa constatazione si è a volte concluso che gli scrittori moderni sono dei bizantini, difficili unicamente perché non hanno nulla da dire, per cui sostituiscono l’arte con la sottigliezza. Non c’è giudizio più miope di questo. Il pensiero moderno è difficile, prende in contropiede il senso comune perché si preoccupa della verità e perché l’esperienza non gli permette più, onestamente, di limitarsi a idee chiare o semplici cui il senso comune è radicato perché gli offrono tranquillità.

    (…) Di una tale revisione dei concetti classici che il pensiero moderno persegue in nome dell’esperienza, vorrei mostrare un esempio (…) nell’idea di spazio. La scienza classica è fondata su una distinzione chiara tra spazio e mondo fisico. Lo spazio è l’ambito omogeneo in cui le cose sono distribuite secondo tre dimensioni. (…)

    Tutto cambia quando, con le geometrie dette non euclidee, si concepisce lo spazio come una curva, lo spostamento delle cose come un’alterazione. (…) Al posto di un mondo in cui il ruolo dell’identico e quello del cambiamento sono rigidamente delimitati e rapportati a principi differenti, abbiamo un mondo in cui gli oggetti non possono avere con se stessi un’identità assoluta, in cui forma e contenuto siano come intrecciati e confusi (…). Diventa impossibile distinguere rigorosamente lo spazio e le cose nello spazio.

    Ebbene, le ricerche della pittura moderna concordano, misteriosamente, con quelle della scienza. L’insegnamento classico distingue il disegno e il colore: si disegna lo schema spaziale dell’oggetto, poi lo si riempie di colori. Cézanne al contrario afferma: “Quando si dipinge, si disegna”. (…) Cézanne vuole generare il contorno e la forma degli oggetti come la natura li genera sotto i nostri occhi: attraverso la composizione dei colori. (…).

    Nello sforzo per ritrovare il mondo così come lo percepiamo nell’esperienza vissuta, tutte le precauzioni dell’arte classica vanno in frantumi. L’insegnamento classico della pittura è fondato sulla prospettiva – il pittore decide di riportare (…) sulla tela solamente una rappresentazione del tutto convenzionale di quel che vede. (…) I quadri dipinti in tal modo hanno un aspetto pacifico, decente, rispettoso (…). Ma il mondo non si offre a noi in questo modo nel contatto percettivo che abbiamo con esso. (…) Se molti pittori, dopo Cézanne, hanno rifiutato di piegarsi alle regole della prospettiva geometrica, è perché volevano riappropriarsi e mostrare la nascita stessa del paesaggio.

    Non si accontentavano di un resoconto analitico, volevano raggiungere lo stile dell’esperienza percettiva (…) dando allo spettatore non attento l’impressione di un “errore prospettico”, ma dando a coloro che guardano attentamente  il sentimento di un mondo in cui due oggetti non sono mai visti simultaneamente, in cui, tra le varie parti dello spazio s’interpone sempre la durata necessaria per condurre il nostro sguardo dall’una all’altra, in cui l’essere non è dato, ma appare e traspare attraverso il tempo”.

 

Maurice Merleau-Ponty. “Conversazioni” 

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