E’ solo un lampo, un gesto a freddo appena dopo i titoli di testa. La mano di Andy passa sullo specchio appannato rivelando il suo viso nel riflesso. Un viso solare intento a lavarsi i denti. Una manciata di frame segnata dall’inizio scoppiettante della colonna sonora. Al tempo stesso è già il tracciato di tutto un percorso interiore che si declinerà lungo l’arco del film. Lo specchio appannato della coscienza che verrà disappannato dall’esperienza. Un’idea di sé nebulosa e confusa che nel corso della storia si chiarisce non senza sofferenze e contraddizioni.
Nasce il dibattito di sempre. Ma non mi dirai che io vedo il primo frame e ho capito il senso de Il Diavolo veste Prada. Ma dai! No, è evidente e affermarlo significherebbe certificare l’inutilità di tutto quel che segue il primo frame. Non è di questo che si parla. E’ di linguaggio. Il linguaggio è il luogo di articolazione del senso. E il senso vive fin dal primo battito. In un film ben scritto il significato si trova in ogni segno. Nessun segno è tutto ma tutto è in ogni segno.
Eppure, quando se ne parla durante l’analisi del film, c’è sempre da qualche parte uno spiffero – o molto di più – di scetticismo. C’è lo scetticismo di chi non si occupa di cinema, per il quale è semplicemente impensabile che un’inquadratura sia oggetto di riunioni e di riflessioni, di preventivi e di poetiche. E che quando lo scopre rimane tristemente deluso. Gli si toglie la poesia, l’idea che il cinema sia fatto dai Maestri, che pescano dal cilindro soluzioni che poi fanno storia. Altri sono scettici perché pensano: Ma come si fa a sostenere con certezza che…
Nessuna certezza. Ovviamente. E per quanto mi riguarda, anche nei miei minuscoli lavori spesso ho capito cosa c’era dentro soltanto dopo. Ma il punto è che… dentro c’erano cose che stavano lì indipendentemente da me. E’ una questione di priorità. Dobbiamo decidere se la domanda centrale è: cosa voleva dire il regista? Oppure: cosa può esserci nel film? E per conto mio ancora meno di così. La domanda centrale per me è: cosa mi sembra di vedere, oggi, in questo film? E’ interessante a volte sentire le interviste dei registi quando dichiarano quello che volevano dire. Perché poi vedi il film e se non avessi sentito l’intervista non ci arriveresti mai. In compenso vedi altro.
Il film, come ogni nostro discorso, è un’assertiva definizione di significati oggettivi o un volano pieno di energia che corre in una certa direzione e che nel suo iperbolico viaggio verso il destinatario oscilla, cambia, si arricchisce e si ridefinisce ogni volta che viene recepito? Quante volte ci capita di rileggere in modo diverso a distanza di tempo le azioni che abbiamo compiuto? Questo significa che la fissità dell’interpretazione – fosse pure quella dell’autore, come noi lo siamo delle nostre azioni – non ha molto a che vedere con la verità.
La verità è che la verità cambia, leggevo da qualche parte.
E’ un’idea di proprietà che per conto mio va abbandonata. Esigiamo la proprietà dei significati, vogliamo essere padroni di deciderli e di attribuirli al lavoro altrui. Invece un film lo si manda in giro per il mondo a farsi attribuire significati da più persone possibili. Non sono la nostra idea, la nostra testimonianza, la nostra propaganda che girano il mondo rimanendo se stesse, perché niente di vivo può girare il mondo e attraversare il tempo senza cambiare. Quel che accade a noi accade alle nostre storie: si cambia e si diventa più ricchi man mano che la consapevolezza sostituisce la certezza e ci si abbandona sereni al continuo rimescolamento e alla continua scintilla dei significati.
Ciao Giovanni,
come scrivi te è un motivo che torna spesso, ed è la distinzione tra il senso e il linguaggio.
Personalmente trovo che questo film sia stupendo, e che sia tutta la sequenza dei titoli di testa che ci descrive il viaggio che porterà la protagonista a formarsi una coscienza (io vedo nella doccia iniziale una sorta di battesimo). Il tema dello specchio torna spesso (il giornale per cui va a lavorare Andy alla fine è il “mirror”, oltre a ripetute inquadrature allo specchio nei momenti cruciali) e trattandosi di un film sulla moda ritengo che sia una metafora appropriata.
In ogni caso hai ragione, nulla è mai certo: la prima volta che ho visto questo film ci vedevo un’istantanea della società occidentale, oggi ci vedo un romanzo di formazione e una guida su come costruire un film. Così come la prima volta che ho visto “La guerra dei mondi” non immaginavo proprio che avrei potuto leggerlo come un dramma famigliare.
Paolo
Che bello, Paolo. Grazie.