Un sogno dentro un sogno dentro un sogno. Funziona così quello che da più parti viene indicato come il film dell’anno e da qualcuno – me incluso per quel che vale – come papabile film del decennio. Inception è la storia di un viaggio nel più profondo livello dell’inconscio. Il movente è di genere: innestare in una persona un’idea che le rimanga dentro come fosse sua. Nel caso, si tratta di convincere un giovane rampollo a dividere l’impero aziendale paterno che sta per ereditare. Questa è la scatola narrativa di ferro che Nolan ha costruito affinché la poesia del suo film rimanesse saldamente inchiodata a un’evidenza concreta e non si perdesse in divagazioni generiche e astratte. Non affronto qui la trama perché oltremodo intricata e difficile, ma soprattutto perché tutta da vivere per chi non l’avesse visto e tutta saputa per gli altri.

Per entrare nel sogno di qualcuno e impiantare un’idea  nel suo inconscio, un livello di sogno non è sufficiente. Le difese sono ancora troppo alte. Occorre scendere di tre livelli. Sognare di sognare di sognare. Una cascata di puro inconscio. I personaggi si immergono progressivamente in questo sogno condiviso, i cui diversi livelli ci spostano per continente, clima, situazioni logistiche. Ma la logica di questa discesa dentro di sé rimane ferrea.

Il drive dell’azione principale è scardinare le difese di una persona. Anche le più profonde. Le difese sono attivazioni della paura. Pertanto sono aggressive, imprevedibili e furiose quando si scatenano. Sono metaforizzate di livello in livello dal clima, dai proiettili, dalle guardie del corpo, da agenti speciali, da armi più o meno sofisticate. Anche dalle parole e dai tranelli. Il punto è che entrare in un inconscio significa entrare in un sistema di assegnazioni di senso del tutto diverso dal nostro. Non si tratta di vedere il mondo con gli occhi dell’altro, significa proprio immergersi nel suo mondo. Da subito è chiaro che parlare di mondo significa parlare del mondo di ciascuno di noi. Che parlare di realtà significa poco e niente.

Qui c’è la prima punta poetica del film, secondo me. Ognuno di noi in un suo mondo – e non tutti nello stesso come ci piace credere – ma tutti noi con una logica estremamente condivisa. Tutti noi dilaniati tra la paura e  la voglia disperata di relazioni, con una sfiducia globale negli altri e con il segreto e remoto sogno di trovare un giorno qualcuno di cui fidarsi. Una sola profonda natura in infiniti mondi. Una sola logica. Un DNA. Condividiamo le cose concrete – un tavolo è un tavolo – e l’istinto profondo. Tutto il resto è un mondo a parte per ognuno di noi.

Il secondo tema forte del film è ciò che rimane uguale nell’approfondirsi dei livelli. Dal sogno ci si sveglia morendo, finché si tratta del primo livello. In un certo senso morire non è difficile o diciamo meglio non è la peggiore delle cose. La peggiore è il dolore. Il dolore e la paura di sentirlo sono il motore di tutte le difese che mettiamo in atto. Fisher vive mondi  inconsci nei quali ogni sorta di cosa serve a difendersi da questa possibilità. E la lotta è all’ultimo sangue.

E’ la storia dell’antica icona medievale: il cavaliere che si reca alla fortezza a cavallo con il giavellotto. Si tratta di liberare la principessa dalla torre. Una principessa che non ha mai visto. Perché giocarsi la vita per una sconosciuta? Perché è sconosciuta. E se la principessa prigioniera non è solo una principessa prigioniera ma rappresenta  la parte di sé che il cavaliere non conosce, la partita vale la conquista di un’identità. E la fortezza non è altro che la paura che sta dentro ognuno di noi, la paura di conoscere la nostra fragile principessa, la nostra vulnerabilità.

Ed eccoli, all’inizio del terzo livello del sogno, i nostri eroi non lontani dalla fortezza nella neve.  Cobb sta mirando con un fucile di alta precisione e osserva nel mirino. La ragazza gli chiede: – Cobb, cosa c’è laggiù? E lui: – Spero la verità che vogliamo per Fisher. La ragazza insiste: No io dico: cosa c’è per te? Thrilling e poesia vanno insieme rinforzandosi a vicenda in ogni passaggio. La fortezza è la fortezza di ognuno di noi e difende le paure specifiche di ognuno di noi. Che fortezza hai dentro? Cosa vedi oltre la cortina della tua paura? Cosa prende di mira il tuo fucile? (…continua…)

0 risposte

  1. Ho avuto la fortuna di avere il Prof. Covini come docente di Cinema e mi sarebbe piaciuto che in una delle interessanti analisi che abbiamo fatto su qualche film, avessimo affrontato anche Inception. Questi articoli hanno esaudito il mio desiderio, essendo questo uno dei miei film preferiti, e mi hanno fatto venire voglia di rivederlo con un occhio di riguardo in più. Grazie e complimenti!!!!

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